La monografia è incentrata su un’opera emblematica di Lucio Fontana negli anni Trenta, il Torso italico (1938). Lo studio affronta quindi la produzione ceramica dell'artista e ricostruisce sulla base di fonti inedite, la sua avventura creativa con particolare attenzione all'opera in grès. La scultura monumentale in grès policromo che l’artista aveva approntato per un’architettura milanese, rimasta per più di settanta anni nell'atrio di quell'edificio, è il punto di arrivo di una ricerca che parte da lontano e s'innesta nella corrente primitivista in opposizione a Novecento. Se dal punto di vista compositivo, in quanto rappresentazione della figura umana, l’opera appare una sorta di replica dell’ Uomo nero segno, a sua volta, del nuovo corso della scultura di Fontana dei primi anni Trenta- dal versante stilistico la mozione primitiva si unisce a una scanzonata citazione del busto romano dell’ Augusto di Prima Porta. Il saggio tratta quindi l' estesa produzione plastica compresa tra il 1936 e gli anni quaranta che trascorre tra primordialismo, rilettura del Barocco, nature morte e sculture informi, modellate di getto. Lo studio evidenzia inoltre come l’esuberanza della materia e la terra nella sua natura informe, il fuoco come intermediario attivo nella trasformazione della scultura, il colore talora spento, talvolta di un’accensione irreale rappresentino i termini di una straordinaria anticipazione di motivi dell’informale europeo che saranno propri dell’arte del secondo dopoguerra. Il nuovo ruolo di Fontana nell’ambito delle ricerche d’avanguardia italiane è rivendicato in una dichiarazione-manifesto del 1939 (Le mie ceramiche) qui riportata in riproduzione anastatica, in cui l’artista afferma la propria autonomia e indipendenza: “io sono uno scultore e non un ceramista ( ...) la mia forma plastica (...) non è mai dissociata dal colore (...) colore e forma indissolubili, nati da un’identica necessità (...) la materia era attraente; potevo modellare un fondo sottomarino, una statua o un mazzo di capelli e imprimere un colore vergine e compatto che il fuoco amalgamava. Il fuoco era una specie di intermediario: perpetuava la forma e il colore (...) si parlò di ceramiche primordiali. La materia era terremotata, ma ferma”. La monografia riporta altresì in riproduzione anastatica fonti sulla produzione ceramica difficilmente reperibili come il volume di E. Baumbach, Lucio Fontana, un essay analitique, Campografico, Milano 1938 e molti articoli dell'epoca.

Lucio Fontana. Torso italico

CAMPIGLIO, PAOLO
2014-01-01

Abstract

La monografia è incentrata su un’opera emblematica di Lucio Fontana negli anni Trenta, il Torso italico (1938). Lo studio affronta quindi la produzione ceramica dell'artista e ricostruisce sulla base di fonti inedite, la sua avventura creativa con particolare attenzione all'opera in grès. La scultura monumentale in grès policromo che l’artista aveva approntato per un’architettura milanese, rimasta per più di settanta anni nell'atrio di quell'edificio, è il punto di arrivo di una ricerca che parte da lontano e s'innesta nella corrente primitivista in opposizione a Novecento. Se dal punto di vista compositivo, in quanto rappresentazione della figura umana, l’opera appare una sorta di replica dell’ Uomo nero segno, a sua volta, del nuovo corso della scultura di Fontana dei primi anni Trenta- dal versante stilistico la mozione primitiva si unisce a una scanzonata citazione del busto romano dell’ Augusto di Prima Porta. Il saggio tratta quindi l' estesa produzione plastica compresa tra il 1936 e gli anni quaranta che trascorre tra primordialismo, rilettura del Barocco, nature morte e sculture informi, modellate di getto. Lo studio evidenzia inoltre come l’esuberanza della materia e la terra nella sua natura informe, il fuoco come intermediario attivo nella trasformazione della scultura, il colore talora spento, talvolta di un’accensione irreale rappresentino i termini di una straordinaria anticipazione di motivi dell’informale europeo che saranno propri dell’arte del secondo dopoguerra. Il nuovo ruolo di Fontana nell’ambito delle ricerche d’avanguardia italiane è rivendicato in una dichiarazione-manifesto del 1939 (Le mie ceramiche) qui riportata in riproduzione anastatica, in cui l’artista afferma la propria autonomia e indipendenza: “io sono uno scultore e non un ceramista ( ...) la mia forma plastica (...) non è mai dissociata dal colore (...) colore e forma indissolubili, nati da un’identica necessità (...) la materia era attraente; potevo modellare un fondo sottomarino, una statua o un mazzo di capelli e imprimere un colore vergine e compatto che il fuoco amalgamava. Il fuoco era una specie di intermediario: perpetuava la forma e il colore (...) si parlò di ceramiche primordiali. La materia era terremotata, ma ferma”. La monografia riporta altresì in riproduzione anastatica fonti sulla produzione ceramica difficilmente reperibili come il volume di E. Baumbach, Lucio Fontana, un essay analitique, Campografico, Milano 1938 e molti articoli dell'epoca.
2014
Una sola opera
978-88-8954-663-5
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/1098633
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