Le relazioni omosessuali esistono da quando esiste il mondo. Non le idee di pari diritti, doveri, opportunità, cittadinanza, regolamentazione sociale e giuridica nelle vite di persone omosessuali. Queste idee, e la loro applicazione, hanno avuto importanti ripercussioni sull’identità psicologica e la fisionomia delle relazioni di lesbiche e gay. Il matrimonio è un’istituzione fondamentale nella vita di tante persone, fino a diventare un criterio di autodefinizione – da uomo a marito, da donna a moglie. È dove le persone possono scegliere di aggiungere, alla forza del legame privato, quella del riconoscimento pubblico. È un rito che prevede la possibilità di dire “sì” e quella di dire “no”. Nei paesi in cui sono stati legalizzati i matrimoni tra persone dello stesso sesso, questo passo ha introdotto un cambiamento culturale sia nella concezione di famiglia sia nella concezione di omosessualità. Un cambiamento che non a tutti piace, che alcuni temono e che molti guardano con pregiudizio. L’esclusione dal matrimonio è un’oggettiva delegittimazione dei cittadini gay e delle cittadine lesbiche che, giudicati/e indegni di costruire un nucleo familiare, cioè affettivo e sociale, si trovano confinati in una zona grigia, vivaio di disprezzi, discriminazioni, svalutazioni, che facilmente alimentano autodisprezzi, autodiscriminazioni, autosvalutazioni. Dunque, è un potente induttore di minority stress. Numerose ricerche mostrano, infatti, che il matrimonio ha un effetto positivo sul benessere fisico e mentale, al punto da aumentare la longevità, contribuire alla crescita del livello di resilienza personale di chi non appartiene alla maggioranza eterosessuale, favorire un senso di stabilità dell’impegno reciproco e della sicurezza, diminuendo la percezione del rischio e di discriminazione e pregiudizio. Che cosa è successo negli ultimi quarant’anni perché persone accusate di voler “infrangere quel modello nel quale si articolano la generazione, la differenza dei sessi e quella delle generazioni” arrivino a chiedere non solo di essere riconosciute come cittadini a tutti gli effetti, ma anche di poter adottare quell’“ordine familiare” che tanto ha contribuito alla loro delegittimazione?

Sposarsi. Sugli effetti dell’esclusione da un diritto umano elementare

N. Carone
2014-01-01

Abstract

Le relazioni omosessuali esistono da quando esiste il mondo. Non le idee di pari diritti, doveri, opportunità, cittadinanza, regolamentazione sociale e giuridica nelle vite di persone omosessuali. Queste idee, e la loro applicazione, hanno avuto importanti ripercussioni sull’identità psicologica e la fisionomia delle relazioni di lesbiche e gay. Il matrimonio è un’istituzione fondamentale nella vita di tante persone, fino a diventare un criterio di autodefinizione – da uomo a marito, da donna a moglie. È dove le persone possono scegliere di aggiungere, alla forza del legame privato, quella del riconoscimento pubblico. È un rito che prevede la possibilità di dire “sì” e quella di dire “no”. Nei paesi in cui sono stati legalizzati i matrimoni tra persone dello stesso sesso, questo passo ha introdotto un cambiamento culturale sia nella concezione di famiglia sia nella concezione di omosessualità. Un cambiamento che non a tutti piace, che alcuni temono e che molti guardano con pregiudizio. L’esclusione dal matrimonio è un’oggettiva delegittimazione dei cittadini gay e delle cittadine lesbiche che, giudicati/e indegni di costruire un nucleo familiare, cioè affettivo e sociale, si trovano confinati in una zona grigia, vivaio di disprezzi, discriminazioni, svalutazioni, che facilmente alimentano autodisprezzi, autodiscriminazioni, autosvalutazioni. Dunque, è un potente induttore di minority stress. Numerose ricerche mostrano, infatti, che il matrimonio ha un effetto positivo sul benessere fisico e mentale, al punto da aumentare la longevità, contribuire alla crescita del livello di resilienza personale di chi non appartiene alla maggioranza eterosessuale, favorire un senso di stabilità dell’impegno reciproco e della sicurezza, diminuendo la percezione del rischio e di discriminazione e pregiudizio. Che cosa è successo negli ultimi quarant’anni perché persone accusate di voler “infrangere quel modello nel quale si articolano la generazione, la differenza dei sessi e quella delle generazioni” arrivino a chiedere non solo di essere riconosciute come cittadini a tutti gli effetti, ma anche di poter adottare quell’“ordine familiare” che tanto ha contribuito alla loro delegittimazione?
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/1293409
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