Per celebrare la riapertura del Teatro La Fenice dopo l’incendio, La traviata, vale a dire una delle opere più rappresentative della propria storia, e di quella di tutto il teatro in musica, viene proposta nell’edizione originale, che debuttò nel tempio della lirica veneziana il 6 marzo 1853. Il prezioso appuntamento viene consentito dall’edizione critica della partitura curata da Fabrizio Della Seta che, oltre a ridisegnare molti tratti della versione a tutti nota, offre la possibilità di riascoltare la copia della partitura eseguita allora, e custodita nell’Archivio del Teatro. Su questa versione è basato anche il commento musicale all’edizione del libretto del 1853, curata da Marco Marica, che mette l’accento sulla solitudine della protagonista e su ciò che l’ha causata, non limitandosi all’analisi di strutture astratte, ma traendo da libretto e partitura considerazioni più ampie di drammaturgia musicale. Nella nuova rubrica Franco Rossi, suo responsabile scientifico, farà parlare i preziosi documenti custoditi nell’Archivio storico del Teatro La Fenice – un modo di ‘universalizzare’ la storia del sistema produttivo di uno dei teatri più importanti al mondo sin dalla sua nascita. Violetta, spiega Fabrizio Della Seta nel saggio pubblicato in apertura di questo volume, «muore, sì, perché siamo in una tragedia, ma non ci appare affatto redenta perché non ha nulla da cui redimersi». Della Seta si assume il compito di introdurre il lettore all’interno di quel laboratorio drammaturgico-musicale verdiano in cui è nata La traviata. Oltre a guidare, con parole semplici e profonde, il lettore nel rapporto tra la fonte e l’opera, egli fa capire, con pochi esempi significativi, quale sia il fine autentico dell’edizione critica tra l’opera che conosciamo, dopo la ripresa del 1854 nell’altra piazza teatrale veneziana, il San Benedetto, e quella del 1853. La sezione saggistica prosegue con Guido Paduano, che dedica la sua attenzione all’intreccio, scandagliato con l’acume che gli è abituale, e alle sue implicazioni, cogliendo fulmineamente sin dall’inizio aporie produttive, come quel «Misterioso altero» che «definisce l’amore nel libretto della Traviata, se pure può chiamarsi definizione ciò che predica l’inconoscibilità dell’oggetto definito». Marco Marica, dal canto suo, allarga la prospettiva critica al mito di Violetta Valéry, declinato in pellicole recenti (come Moulin rouge, 2001) che con l’opera intrattengono rapporti intertestuali: nel confronto l’eroina di Verdi mantiene (e semmai rafforza) quel primato etico ed estetico, già rilevato da Marcel Proust, che notò come Verdi avesse dato a La dame aux camélias «lo stile, che le mancava nel dramma di Dumas». Marco Beghelli si concentra poi sul tópos della lettura nelle scene liriche italiane dell’Ottocento, e indaga con finezza sulle implicazioni drammatiche dovute all’«esito sonoro di tale lettura». Robert Carsen, regista della produzione che inaugura la prima stagione della Fenice ricostruita, ci propone proprio di riconsiderare l’idea originale per quanto offre di attuale ancora ai nostri giorni. Sappiamo che Verdi intendeva rappresentare l’attualità anche nella messa in scena, per far risaltare uno dei temi centrali del nuovo lavoro: la critica corrosiva alle abitudini ipocrite della società borghese di allora. Poco importa che egli non sia riuscito a realizzare il suo proposito, visto che non solo il messaggio conserva la sua efficacia, ma ne risulta amplificata la portata universale nel viaggio tra le epoche: una società ipocrita abbandona a se stessa una donna, già protagonista di feste, convivi, alcove e quant’altro, solo perché coraggiosamente vive l’amore vero tra le braccia di un coetaneo, causando scompiglio tra le fila di chi vuol solo divertirsi senza mai mettersi in gioco. Una simile società ha forse cessato di promulgare condanne per chi non sia allineato col pensiero dominante?

Giuseppe Verdi, «La traviata», «La Fenice prima dell’opera», 2004-2005/1

GIRARDI, MICHELE
2004-01-01

Abstract

Per celebrare la riapertura del Teatro La Fenice dopo l’incendio, La traviata, vale a dire una delle opere più rappresentative della propria storia, e di quella di tutto il teatro in musica, viene proposta nell’edizione originale, che debuttò nel tempio della lirica veneziana il 6 marzo 1853. Il prezioso appuntamento viene consentito dall’edizione critica della partitura curata da Fabrizio Della Seta che, oltre a ridisegnare molti tratti della versione a tutti nota, offre la possibilità di riascoltare la copia della partitura eseguita allora, e custodita nell’Archivio del Teatro. Su questa versione è basato anche il commento musicale all’edizione del libretto del 1853, curata da Marco Marica, che mette l’accento sulla solitudine della protagonista e su ciò che l’ha causata, non limitandosi all’analisi di strutture astratte, ma traendo da libretto e partitura considerazioni più ampie di drammaturgia musicale. Nella nuova rubrica Franco Rossi, suo responsabile scientifico, farà parlare i preziosi documenti custoditi nell’Archivio storico del Teatro La Fenice – un modo di ‘universalizzare’ la storia del sistema produttivo di uno dei teatri più importanti al mondo sin dalla sua nascita. Violetta, spiega Fabrizio Della Seta nel saggio pubblicato in apertura di questo volume, «muore, sì, perché siamo in una tragedia, ma non ci appare affatto redenta perché non ha nulla da cui redimersi». Della Seta si assume il compito di introdurre il lettore all’interno di quel laboratorio drammaturgico-musicale verdiano in cui è nata La traviata. Oltre a guidare, con parole semplici e profonde, il lettore nel rapporto tra la fonte e l’opera, egli fa capire, con pochi esempi significativi, quale sia il fine autentico dell’edizione critica tra l’opera che conosciamo, dopo la ripresa del 1854 nell’altra piazza teatrale veneziana, il San Benedetto, e quella del 1853. La sezione saggistica prosegue con Guido Paduano, che dedica la sua attenzione all’intreccio, scandagliato con l’acume che gli è abituale, e alle sue implicazioni, cogliendo fulmineamente sin dall’inizio aporie produttive, come quel «Misterioso altero» che «definisce l’amore nel libretto della Traviata, se pure può chiamarsi definizione ciò che predica l’inconoscibilità dell’oggetto definito». Marco Marica, dal canto suo, allarga la prospettiva critica al mito di Violetta Valéry, declinato in pellicole recenti (come Moulin rouge, 2001) che con l’opera intrattengono rapporti intertestuali: nel confronto l’eroina di Verdi mantiene (e semmai rafforza) quel primato etico ed estetico, già rilevato da Marcel Proust, che notò come Verdi avesse dato a La dame aux camélias «lo stile, che le mancava nel dramma di Dumas». Marco Beghelli si concentra poi sul tópos della lettura nelle scene liriche italiane dell’Ottocento, e indaga con finezza sulle implicazioni drammatiche dovute all’«esito sonoro di tale lettura». Robert Carsen, regista della produzione che inaugura la prima stagione della Fenice ricostruita, ci propone proprio di riconsiderare l’idea originale per quanto offre di attuale ancora ai nostri giorni. Sappiamo che Verdi intendeva rappresentare l’attualità anche nella messa in scena, per far risaltare uno dei temi centrali del nuovo lavoro: la critica corrosiva alle abitudini ipocrite della società borghese di allora. Poco importa che egli non sia riuscito a realizzare il suo proposito, visto che non solo il messaggio conserva la sua efficacia, ma ne risulta amplificata la portata universale nel viaggio tra le epoche: una società ipocrita abbandona a se stessa una donna, già protagonista di feste, convivi, alcove e quant’altro, solo perché coraggiosamente vive l’amore vero tra le braccia di un coetaneo, causando scompiglio tra le fila di chi vuol solo divertirsi senza mai mettersi in gioco. Una simile società ha forse cessato di promulgare condanne per chi non sia allineato col pensiero dominante?
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/152144
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