Le roi de Lahore fu un autentico modello per gli artisti scapigliati, riflesso anche in alcune pagine della produzione giovanile di Giacomo Puccini, come il Preludio in La maggiore (1882). Nel saggio d’apertura, Jean-Christophe Branger entra nel laboratorio creativo di Massenet, e traccia una storia ben documentata della genesi del Roi de Lahore, la cui musica subì poi ulteriori cambiamenti rilevanti nei primi anni della sua circolazione, tanto da rendere necessaria un’edizione che ne restituisca il testo nelle sue molteplici stratificazioni. Dalle numerose lettere citate dallo studioso francese, emerge il ritratto di un artista esigente e attentissimo a ogni sfumatura,che tempesta di richieste il librettista Louis Gallet: «Voglio il dolore, la disperazione, il terrore!», esige con piglio verdiano dallo scrittore a proposito dell’atteggiamento di Alim nel paradiso di Indra, un luogo che gli rammenta «l’emozione della scena dell’Orfeo di Gluck all’Inferno – I dannati rispondono urlando al dolce pianto di Orfeo». Ma anche un cielo che richiede «sfarzo, uno splendido décor, e delle fanciulle nude – tutte nude». Per comprendere meglio la portata di questo vasto affresco pubblichiamo anche l’atto terzo della Disposizione scenica per l’opera «Il re di Lahore», redatta da Giulio Ricordi nel 1877, un documento raro e prezioso, utile a comprendere le esigenze dello spettacolo nel variegato fin de siècle. Nota in proposito Steven Huebner, autore del secondo saggio, centrato sul genere in cui si colloca l’opera di Massenet, che «l’allestimento scenico più d’effetto è dedicato al mondo ultraterreno, alla richiesta di Alim al dio Indra in paradiso, ad un risvolto della vicenda che ha poco impatto sulla vita pubblica e politica». Rilievo che tende a mettere in chiaro come Le roi de Lahore sia un prodotto crepuscolare del grand-opéra, luogo di conflitti politici per eccellenza, proprio nel tempo in cui s’inaugurava una sala, come quella del Palais Garnier, ad esso consacrata. Tanto che «risulta evidente che, portato a termine il nuovo edificio di Garnier, il grand-opéra sarebbe presto tramontato». Lahore, peraltro, vuol anche dire esotismo, che all’epoca era in gran voga in Francia: Gian Giuseppe Filippi ci riporta alla realtà storica, raccontandoci le vicende di una città tra le più importanti dell’India (anche se ora si trova nel Pakistan). Tante altre sono le tematiche che emergono in questo volume, e una simile varietà sta ad attestare ulteriormente l’importanza di quest’opera, ricca di richiami espliciti, o intertestuali, ad altre situazioni del teatro musicale. Ma una componente sempre immanente è il conclamato wagnerismo di Massenet, cui fa riferimento più volte Huebner, che rileva come «l’unione fisica conduce ad una liberazione mistica in un’apoteosi finale. Le roi de Lahore, quindi, gioca con modelli di interiorità molto più affini all’opera wagneriana». Non si tratta solo di possibili suggestioni del linguaggio musicale, ma della drammaturgia nel suo complesso: Alim e Sitâ sono votati a un destino terreno di castità, e potranno conquistare un’unione perfetta soltanto nella morte.

Jules Massenet, «Le roi de Lahore», «La Fenice prima dell’opera», 2004-2005/3

GIRARDI, MICHELE
2004-01-01

Abstract

Le roi de Lahore fu un autentico modello per gli artisti scapigliati, riflesso anche in alcune pagine della produzione giovanile di Giacomo Puccini, come il Preludio in La maggiore (1882). Nel saggio d’apertura, Jean-Christophe Branger entra nel laboratorio creativo di Massenet, e traccia una storia ben documentata della genesi del Roi de Lahore, la cui musica subì poi ulteriori cambiamenti rilevanti nei primi anni della sua circolazione, tanto da rendere necessaria un’edizione che ne restituisca il testo nelle sue molteplici stratificazioni. Dalle numerose lettere citate dallo studioso francese, emerge il ritratto di un artista esigente e attentissimo a ogni sfumatura,che tempesta di richieste il librettista Louis Gallet: «Voglio il dolore, la disperazione, il terrore!», esige con piglio verdiano dallo scrittore a proposito dell’atteggiamento di Alim nel paradiso di Indra, un luogo che gli rammenta «l’emozione della scena dell’Orfeo di Gluck all’Inferno – I dannati rispondono urlando al dolce pianto di Orfeo». Ma anche un cielo che richiede «sfarzo, uno splendido décor, e delle fanciulle nude – tutte nude». Per comprendere meglio la portata di questo vasto affresco pubblichiamo anche l’atto terzo della Disposizione scenica per l’opera «Il re di Lahore», redatta da Giulio Ricordi nel 1877, un documento raro e prezioso, utile a comprendere le esigenze dello spettacolo nel variegato fin de siècle. Nota in proposito Steven Huebner, autore del secondo saggio, centrato sul genere in cui si colloca l’opera di Massenet, che «l’allestimento scenico più d’effetto è dedicato al mondo ultraterreno, alla richiesta di Alim al dio Indra in paradiso, ad un risvolto della vicenda che ha poco impatto sulla vita pubblica e politica». Rilievo che tende a mettere in chiaro come Le roi de Lahore sia un prodotto crepuscolare del grand-opéra, luogo di conflitti politici per eccellenza, proprio nel tempo in cui s’inaugurava una sala, come quella del Palais Garnier, ad esso consacrata. Tanto che «risulta evidente che, portato a termine il nuovo edificio di Garnier, il grand-opéra sarebbe presto tramontato». Lahore, peraltro, vuol anche dire esotismo, che all’epoca era in gran voga in Francia: Gian Giuseppe Filippi ci riporta alla realtà storica, raccontandoci le vicende di una città tra le più importanti dell’India (anche se ora si trova nel Pakistan). Tante altre sono le tematiche che emergono in questo volume, e una simile varietà sta ad attestare ulteriormente l’importanza di quest’opera, ricca di richiami espliciti, o intertestuali, ad altre situazioni del teatro musicale. Ma una componente sempre immanente è il conclamato wagnerismo di Massenet, cui fa riferimento più volte Huebner, che rileva come «l’unione fisica conduce ad una liberazione mistica in un’apoteosi finale. Le roi de Lahore, quindi, gioca con modelli di interiorità molto più affini all’opera wagneriana». Non si tratta solo di possibili suggestioni del linguaggio musicale, ma della drammaturgia nel suo complesso: Alim e Sitâ sono votati a un destino terreno di castità, e potranno conquistare un’unione perfetta soltanto nella morte.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/152154
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