Per comprendere a fondo la drammaturgia di Benjamin Britten è necessario indagare sul soggetto biografico e porsi domande in un ambito che gli studi di genere hanno portato alla ribalta negli ultimi decenni, anche in campo musicologico: quanto la sua condizione di omosessuale incide sulla sua arte? in che misura le sue scelte sono dettate da pulsioni intime, che emergono più o meno velate nella rappresentazione? Davide Daolmi, al suo terzo saggio sul teatro di Britten per «La Fenice prima dell’opera», è una guida ideale per accedere al mondo ricco di segreti di The Turn of the Screw, poiché il suo metodo è quello di addentrarsi a fondo nel testo per offrire al lettore le chiavi ermeneutiche più appropriate, difficili da cogliere di prim’acchito. Uno dei punti dibattuti, nel rapporto tra l’opera e la sua fonte, il racconto omonimo di Henry James, verte sulla presenza ‘fisica’ degli spettri (e si veda in proposito anche il documentato saggio sulla fonte di Sergio Perosa, già apparso nel programma di sala per la ripresa del Turn of the Screw nel 1992). Secondo Daolmi «è un’ingenuità credere che la personificazione dei fantasmi – esclusivamente mentali in James – sia scaturita dalle esigenze di scena. Se così fosse non ci sarebbe bisogno di farli parlare fra loro all’inizio dell’atto secondo. Ma se anche per tutta l’opera li abbiamo potuti credere visione dell’istitutrice (nessun altro rivela di percepirli all’infuori di lei), nell’ultima scena si compie un ribaltamento spiazzante: Quint sembra rivolgersi a Miles, e l’istitutrice presente non sente una parola di quello che dice il fantasma al bambino. A quel punto chiunque comprende che Miles, o forse entrambi i bambini, hanno mentito per tutto il tempo, perché evidentemente qualcosa è successo. L’opera, diversamente dal racconto, non offre altre letture possibili». Sorge dunque il problema di che cosa i piccini debbano nascondere, anche se almeno un indizio emerge sugli altri con una certa evidenza: dietro all’elenco di parole latine con terminazione in -is da assegnarsi al genere maschile, declamato da Miles nella scena della lezione (I.6), si celano precisi riferimenti a termini in uso nei circoli omosessuali britannici, vere e proprie metafore di oggetti del piacere e messaggio riservato agli intenditori. Ovviamente c’è di più, ma per saperlo si dovrà leggere fino in fondo il saggio di Daolmi che, in linea con la suspense che pervade The Turn of the Screw (sia come opera sia come racconto), tiene il lettore col fiato sospeso fino alla fine. Compare inoltre un'edizione del libretto con una nuova traduzione italiana a fronte, oltre a un'ampia rassegna bibliografica.

Benjamin Britten, «The Turn of the Screw, «La Fenice prima dell’opera», 2010/4

GIRARDI, MICHELE
2010-01-01

Abstract

Per comprendere a fondo la drammaturgia di Benjamin Britten è necessario indagare sul soggetto biografico e porsi domande in un ambito che gli studi di genere hanno portato alla ribalta negli ultimi decenni, anche in campo musicologico: quanto la sua condizione di omosessuale incide sulla sua arte? in che misura le sue scelte sono dettate da pulsioni intime, che emergono più o meno velate nella rappresentazione? Davide Daolmi, al suo terzo saggio sul teatro di Britten per «La Fenice prima dell’opera», è una guida ideale per accedere al mondo ricco di segreti di The Turn of the Screw, poiché il suo metodo è quello di addentrarsi a fondo nel testo per offrire al lettore le chiavi ermeneutiche più appropriate, difficili da cogliere di prim’acchito. Uno dei punti dibattuti, nel rapporto tra l’opera e la sua fonte, il racconto omonimo di Henry James, verte sulla presenza ‘fisica’ degli spettri (e si veda in proposito anche il documentato saggio sulla fonte di Sergio Perosa, già apparso nel programma di sala per la ripresa del Turn of the Screw nel 1992). Secondo Daolmi «è un’ingenuità credere che la personificazione dei fantasmi – esclusivamente mentali in James – sia scaturita dalle esigenze di scena. Se così fosse non ci sarebbe bisogno di farli parlare fra loro all’inizio dell’atto secondo. Ma se anche per tutta l’opera li abbiamo potuti credere visione dell’istitutrice (nessun altro rivela di percepirli all’infuori di lei), nell’ultima scena si compie un ribaltamento spiazzante: Quint sembra rivolgersi a Miles, e l’istitutrice presente non sente una parola di quello che dice il fantasma al bambino. A quel punto chiunque comprende che Miles, o forse entrambi i bambini, hanno mentito per tutto il tempo, perché evidentemente qualcosa è successo. L’opera, diversamente dal racconto, non offre altre letture possibili». Sorge dunque il problema di che cosa i piccini debbano nascondere, anche se almeno un indizio emerge sugli altri con una certa evidenza: dietro all’elenco di parole latine con terminazione in -is da assegnarsi al genere maschile, declamato da Miles nella scena della lezione (I.6), si celano precisi riferimenti a termini in uso nei circoli omosessuali britannici, vere e proprie metafore di oggetti del piacere e messaggio riservato agli intenditori. Ovviamente c’è di più, ma per saperlo si dovrà leggere fino in fondo il saggio di Daolmi che, in linea con la suspense che pervade The Turn of the Screw (sia come opera sia come racconto), tiene il lettore col fiato sospeso fino alla fine. Compare inoltre un'edizione del libretto con una nuova traduzione italiana a fronte, oltre a un'ampia rassegna bibliografica.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/225732
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