Le vicende dei conflitti in corso – oggi in Iraq, ieri in Afghanistan, domani chissà – hanno riportato di prepotenza l’attenzione del mondo sull’Islam, nelle sue diverse declinazioni. Forse per questo, nel commentare un’opera che ha come protagonista nientemeno che Maometto II, cioè il più noto tra i condottieri musulmani d’ogni tempo, gli autori dei saggi di questo volume fanno emergere riferimenti all’attualità. Anselm Gerhard, ad esempio, scrive che «il confronto compiaciuto tra un Islam ‘barbarico’ con un Occidente presunto come pacifico ci è oggi ben familiare, ed è probabile che in futuro esso condizionerà importanti opzioni politiche dei regimi ‘occidentali’ del secolo ventunesimo». Trattando della travagliata vita di questa partitura, tra Napoli, Venezia e Parigi, Marco Beghelli, dal canto suo, rileva che mentre «Maometto cerca in ogni momento di salvare la situazione da inopinati epiloghi tragici, proponendo soluzioni politiche volte alla distensione fra i due popoli, […] il gesto estremo di un’Anna kamikaze disposta a sacrificare la propria vita per la ‘giusta’ causa metterà pure a tacere i rimorsi morali di chi lo compie, ma non migliora di una virgola la situazione di chi sopravvive in una realtà che da quel gesto verrà ancor più esasperata». Anche in questo volume della « Fenice prima dell’Opera», come nel precedente, la realtà storica trova il suo spazio: chi fu, in realtà, Maometto? Ce lo facciamo raccontare da un testimone d’eccezione, lo scrittore veneziano Giovanni Sagredo, che ai sovrani musulmani dedicò un importante tomo nel secolo diciassettesimo, da cui stralciamo la parte dedicata alla battaglia di Negroponte. Ad essa segue un saggio di Gian Giuseppe Filippi, che ripercorre gli stessi eventi con metodologie odierne, guidandoci tra le pieghe degli interessi politici ed economici di allora. Anche per lui «Il mostro feroce dell’opera rossiniana, tutto sommato, non ispira l’antipatia che ci si aspetta, forse anche per la malcelata consonanza con la nostra civiltà». Fu «un vero umanista», lo storico Maometto, come scrive Filippi? Certo il personaggio rossiniano è «elegante, raffinato e signorile per molti aspetti», secondo Beghelli, e «anima razionale del classico triangolo amoroso». Forse la politica mondiale odierna potrebbe trarre, da questo ritratto artistico, qualche utile indicazione?

Gioachino Rossini, «Maometto II», La Fenice prima dell’opera», 2004-2005/4

GIRARDI, MICHELE
2005-01-01

Abstract

Le vicende dei conflitti in corso – oggi in Iraq, ieri in Afghanistan, domani chissà – hanno riportato di prepotenza l’attenzione del mondo sull’Islam, nelle sue diverse declinazioni. Forse per questo, nel commentare un’opera che ha come protagonista nientemeno che Maometto II, cioè il più noto tra i condottieri musulmani d’ogni tempo, gli autori dei saggi di questo volume fanno emergere riferimenti all’attualità. Anselm Gerhard, ad esempio, scrive che «il confronto compiaciuto tra un Islam ‘barbarico’ con un Occidente presunto come pacifico ci è oggi ben familiare, ed è probabile che in futuro esso condizionerà importanti opzioni politiche dei regimi ‘occidentali’ del secolo ventunesimo». Trattando della travagliata vita di questa partitura, tra Napoli, Venezia e Parigi, Marco Beghelli, dal canto suo, rileva che mentre «Maometto cerca in ogni momento di salvare la situazione da inopinati epiloghi tragici, proponendo soluzioni politiche volte alla distensione fra i due popoli, […] il gesto estremo di un’Anna kamikaze disposta a sacrificare la propria vita per la ‘giusta’ causa metterà pure a tacere i rimorsi morali di chi lo compie, ma non migliora di una virgola la situazione di chi sopravvive in una realtà che da quel gesto verrà ancor più esasperata». Anche in questo volume della « Fenice prima dell’Opera», come nel precedente, la realtà storica trova il suo spazio: chi fu, in realtà, Maometto? Ce lo facciamo raccontare da un testimone d’eccezione, lo scrittore veneziano Giovanni Sagredo, che ai sovrani musulmani dedicò un importante tomo nel secolo diciassettesimo, da cui stralciamo la parte dedicata alla battaglia di Negroponte. Ad essa segue un saggio di Gian Giuseppe Filippi, che ripercorre gli stessi eventi con metodologie odierne, guidandoci tra le pieghe degli interessi politici ed economici di allora. Anche per lui «Il mostro feroce dell’opera rossiniana, tutto sommato, non ispira l’antipatia che ci si aspetta, forse anche per la malcelata consonanza con la nostra civiltà». Fu «un vero umanista», lo storico Maometto, come scrive Filippi? Certo il personaggio rossiniano è «elegante, raffinato e signorile per molti aspetti», secondo Beghelli, e «anima razionale del classico triangolo amoroso». Forse la politica mondiale odierna potrebbe trarre, da questo ritratto artistico, qualche utile indicazione?
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