La quasi totale sinonimia che, negli studi romanistici, s’è instaurata fra critica del testo e interpolazionismo – identificazione corroborata dall’impressionante successo di cui quest’ultima metodica ha goduto per circa un cinquantennio, arrivando in alcuni momenti a trasformarsi, da mezzo, addirittura nel fine stesso della storia giuridica – ha avuto per effetto di determinare, con l’affievolirsi e poi l’esaurirsi dell’interpolazionismo, anche l’isterilimento della critica del testo in generale. Per collocare su nuove basi la critica del testo applicata alle fonti romane, si suggerisce innanzitutto di chiarire la storia degli studi. Come primo contributo a una tale storia, si dimostra il movente essenzialmente linguistico-filologico che è all’origine dell’interpolazionismo moderno (e lo ha condizionato). Inoltre, viene esaminato il rapporto fra il codex Florentinus e il Digesto (con un richiamo ai fondamenti ecdotici dell’editio maior di Mommsen), sottolineando che molti guasti interpretati come sintomo di alterazione da parte dei compilatori del Digesto sono invece guasti del codex Florentinus. Nell'Appendice si discute criticamente la proposta di emendazione di D. 2.14.1 pr. avanzata da G. Falcone, a partire da una diagnosi sintattica di G. Beseler. Si dimostra l'erroneità di tale diagnosi, poiché nel testo ricorre l'uso del pronome dimostrativo senza apparente referente, che è tuttavia forma tipica dello stile giuridico, fin dalle XII Tavole. La critica mira a dimostrare il rischio di una recente proposta che suggerisce di riutilizzare gli studi interpolazionistici come spunti per nuove letture delle fonti.

La critica del Digesto fra passato e futuro. Appendice: 'Ea quae inter nos placuerunt': sui rischi del riuso dell’interpolazionismo (a proposito dell’emendazione di Ulp. D. 2.14.1 pr. proposta da G. Falcone)

MANTOVANI, DARIO GIUSEPPE
2011-01-01

Abstract

La quasi totale sinonimia che, negli studi romanistici, s’è instaurata fra critica del testo e interpolazionismo – identificazione corroborata dall’impressionante successo di cui quest’ultima metodica ha goduto per circa un cinquantennio, arrivando in alcuni momenti a trasformarsi, da mezzo, addirittura nel fine stesso della storia giuridica – ha avuto per effetto di determinare, con l’affievolirsi e poi l’esaurirsi dell’interpolazionismo, anche l’isterilimento della critica del testo in generale. Per collocare su nuove basi la critica del testo applicata alle fonti romane, si suggerisce innanzitutto di chiarire la storia degli studi. Come primo contributo a una tale storia, si dimostra il movente essenzialmente linguistico-filologico che è all’origine dell’interpolazionismo moderno (e lo ha condizionato). Inoltre, viene esaminato il rapporto fra il codex Florentinus e il Digesto (con un richiamo ai fondamenti ecdotici dell’editio maior di Mommsen), sottolineando che molti guasti interpretati come sintomo di alterazione da parte dei compilatori del Digesto sono invece guasti del codex Florentinus. Nell'Appendice si discute criticamente la proposta di emendazione di D. 2.14.1 pr. avanzata da G. Falcone, a partire da una diagnosi sintattica di G. Beseler. Si dimostra l'erroneità di tale diagnosi, poiché nel testo ricorre l'uso del pronome dimostrativo senza apparente referente, che è tuttavia forma tipica dello stile giuridico, fin dalle XII Tavole. La critica mira a dimostrare il rischio di una recente proposta che suggerisce di riutilizzare gli studi interpolazionistici come spunti per nuove letture delle fonti.
2011
9788884433862
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/326508
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