L’octroi carloalbertino costituisce l’evento fondativo dell’Italia unita, la pietra miliare della pedagogia nazionale, l’incipit irrinunciabile della narrazione patriottico-identitaria, che lega in un unico, inestricabile, intreccio lo Statuto, la Nazione e la Corona. Il Cinquantenario avrebbe dovuto celebrarsi nel 1898 come primo giubileo della nazione. Tuttavia la situazione generale stride con lo spirito, non diciamo di una festa nazional-popolare, ma anche di una ostentazione ufficiale e trionfale dei simboli del potere. Si sta per raggiungere l’acme di quello stato di disagio economico e sociale destinato a esplodere nella prima settimana di maggio. Il Governo e la Real Casa mostrano una certa riluttanza a affrontare la questione; domina l’incertezza circa la modalità celebrativa da adottare nell’occasione. Alla fine, scartata l’ipotesi di scegliere Torino come centro dei festeggiamenti e anticipata, solo per quell’anno, attraverso un’apposita legge, la Festa dello Statuto al 4 marzo, si decide che la celebrazione debba svolgersi in due tempi, il primo e principale a Roma in coincidenza con la data da commemorare, il secondo a Torino, dove si inaugurerà l’Esposizione generale italiana, progetto da tempo in cantiere, e dove l’8 maggio si ricorderà la sessione inaugurale del Parlamento subalpino. La commemorazione romana si svolge in Campidoglio, sede del Municipio di Roma, alla presenza del re e di tutte le alte cariche dello stato e di 300 sindaci delle città italiane. Il ruolo particolarmente valorizzato dei rappresentanti le comunità locali e l’oscuramento del Parlamento rendono evidente l’intento celebrativo degli organizzatori. Questo modo di sovrapporre l’immagine della Corona a quella dell’Italia dei comuni e di enfatizzare la posizione della capitale, pur nell’abbraccio con le città sorelle, riflette un’ipotesi commemorativa non improvvisata neppure inedita. Tuttavia, in questa specifica occasione, proprio perché in qualche modo fuori asse rispetto all’evento che si andava a commemorare, la scelta di oscurare il luogo fisico e simbolico della sovranità popolare, evidenzia un preciso orientamento da parte degli attori in campo, a cominciare dall’anticripispino Presidente del consiglio e dallo stesso sovrano. Al di là dell’omaggio reso a parole ai “liberi ordinamenti”, nati cinquant’anni prima, nella retorica commemorativa si mira a rilanciare la rappresentazione di un’Italia che ha preso le distanze dai disegni coloniali, ma che, unita e coesa intorno al re, ambisce comunque a dimostrarsi forte all’interno e potente sullo scenario internazionale. Come asse portante dello Statuto si celebra la Corona in combinazione non con il Parlamento, come ben richiederebbe la specifica circostanza evocativa, bensì associata al mito, sempre appagante, di Roma capitale e collegata al principio della legittimazione plebiscitaria. Il secondo tempo del programma celebrativo si svolge a Torino in un clima surreale. La città vive una atmosfera di calma all’apparenza gioiosa, mentre il Paese è sconvolto da una onda montante di protesta e di tensione che dilaga da sud verso nord e si cominciano a contare i morti in piazza. La logica di valorizzare le identità locali per costruire un discorso patriottico unificante che gli attori istituzionali, consapevoli del rischio, avevano voluto applicare anche nella circostanza del Cinquantenario, poggiava sulla convinzione che fosse abbastanza consolidata la rappresentazione conciliante e moderata del Risorgimento ruotante intorno al perno della Corona e che sarebbe stato facile controllare gli inevitabili conflitti commemorativi in contesti territoriali dove allignavano culture politiche antagoniste. Così si ammise senza sforzo che la commemorazione del cinquantenario potesse anche diluirsi lungo tutto l’anno nelle diverse realtà locali per ricordare gli eventi rivoluzionari del 1848. Si sottovalutò di considerare che negli ambiti popolari le drammatiche condizioni economiche, combinate con il ricordo recente delle vittime nella fallimentare impresa coloniale e associate alla memoria del “diritto alla rivolta” che aveva mosso i patrioti nel Risorgimento potevano tradursi in una miscela esplosiva. Mentre a parole si celebrava la nascita dei liberi ordinamenti rappresentativi attraverso lo Statuto, la risposta furono gli stati d’assedio. D’altra parte, il riconoscimento agli elementi modernizzanti e garantisti della Carta fondamentale venuto, proprio nelle circostanza dell’anniversario, anche da settori delle opposizioni, consentì di comporre quel composito fronte in difesa dello Statuto che permetterà di contenere la sfida autoritaria e favorire la svolta liberale di inizio secolo.

Lo Statuto albertino: l'anniversario dei primi cinquant'anni

TESORO, MARINA
2012-01-01

Abstract

L’octroi carloalbertino costituisce l’evento fondativo dell’Italia unita, la pietra miliare della pedagogia nazionale, l’incipit irrinunciabile della narrazione patriottico-identitaria, che lega in un unico, inestricabile, intreccio lo Statuto, la Nazione e la Corona. Il Cinquantenario avrebbe dovuto celebrarsi nel 1898 come primo giubileo della nazione. Tuttavia la situazione generale stride con lo spirito, non diciamo di una festa nazional-popolare, ma anche di una ostentazione ufficiale e trionfale dei simboli del potere. Si sta per raggiungere l’acme di quello stato di disagio economico e sociale destinato a esplodere nella prima settimana di maggio. Il Governo e la Real Casa mostrano una certa riluttanza a affrontare la questione; domina l’incertezza circa la modalità celebrativa da adottare nell’occasione. Alla fine, scartata l’ipotesi di scegliere Torino come centro dei festeggiamenti e anticipata, solo per quell’anno, attraverso un’apposita legge, la Festa dello Statuto al 4 marzo, si decide che la celebrazione debba svolgersi in due tempi, il primo e principale a Roma in coincidenza con la data da commemorare, il secondo a Torino, dove si inaugurerà l’Esposizione generale italiana, progetto da tempo in cantiere, e dove l’8 maggio si ricorderà la sessione inaugurale del Parlamento subalpino. La commemorazione romana si svolge in Campidoglio, sede del Municipio di Roma, alla presenza del re e di tutte le alte cariche dello stato e di 300 sindaci delle città italiane. Il ruolo particolarmente valorizzato dei rappresentanti le comunità locali e l’oscuramento del Parlamento rendono evidente l’intento celebrativo degli organizzatori. Questo modo di sovrapporre l’immagine della Corona a quella dell’Italia dei comuni e di enfatizzare la posizione della capitale, pur nell’abbraccio con le città sorelle, riflette un’ipotesi commemorativa non improvvisata neppure inedita. Tuttavia, in questa specifica occasione, proprio perché in qualche modo fuori asse rispetto all’evento che si andava a commemorare, la scelta di oscurare il luogo fisico e simbolico della sovranità popolare, evidenzia un preciso orientamento da parte degli attori in campo, a cominciare dall’anticripispino Presidente del consiglio e dallo stesso sovrano. Al di là dell’omaggio reso a parole ai “liberi ordinamenti”, nati cinquant’anni prima, nella retorica commemorativa si mira a rilanciare la rappresentazione di un’Italia che ha preso le distanze dai disegni coloniali, ma che, unita e coesa intorno al re, ambisce comunque a dimostrarsi forte all’interno e potente sullo scenario internazionale. Come asse portante dello Statuto si celebra la Corona in combinazione non con il Parlamento, come ben richiederebbe la specifica circostanza evocativa, bensì associata al mito, sempre appagante, di Roma capitale e collegata al principio della legittimazione plebiscitaria. Il secondo tempo del programma celebrativo si svolge a Torino in un clima surreale. La città vive una atmosfera di calma all’apparenza gioiosa, mentre il Paese è sconvolto da una onda montante di protesta e di tensione che dilaga da sud verso nord e si cominciano a contare i morti in piazza. La logica di valorizzare le identità locali per costruire un discorso patriottico unificante che gli attori istituzionali, consapevoli del rischio, avevano voluto applicare anche nella circostanza del Cinquantenario, poggiava sulla convinzione che fosse abbastanza consolidata la rappresentazione conciliante e moderata del Risorgimento ruotante intorno al perno della Corona e che sarebbe stato facile controllare gli inevitabili conflitti commemorativi in contesti territoriali dove allignavano culture politiche antagoniste. Così si ammise senza sforzo che la commemorazione del cinquantenario potesse anche diluirsi lungo tutto l’anno nelle diverse realtà locali per ricordare gli eventi rivoluzionari del 1848. Si sottovalutò di considerare che negli ambiti popolari le drammatiche condizioni economiche, combinate con il ricordo recente delle vittime nella fallimentare impresa coloniale e associate alla memoria del “diritto alla rivolta” che aveva mosso i patrioti nel Risorgimento potevano tradursi in una miscela esplosiva. Mentre a parole si celebrava la nascita dei liberi ordinamenti rappresentativi attraverso lo Statuto, la risposta furono gli stati d’assedio. D’altra parte, il riconoscimento agli elementi modernizzanti e garantisti della Carta fondamentale venuto, proprio nelle circostanza dell’anniversario, anche da settori delle opposizioni, consentì di comporre quel composito fronte in difesa dello Statuto che permetterà di contenere la sfida autoritaria e favorire la svolta liberale di inizio secolo.
2012
9788836623655
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/509641
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