La nozione giuridica di tortura è stata equiparata ad un “camaleonte” che muta il colore della pelle al variare dell’ambiente in cui si trova: infatti, se da un lato si caratterizza costantemente per l’inflizione deliberata di dolore fisico o mentale attraverso una condotta attiva o omissiva, dall’altro aggiunge, toglie o ridimensiona i suoi elementi in virtù dello scenario considerato. Sebbene la parola sia la stessa, è necessario che il suo contenuto assecondi le peculiarità del quadro normativo che di volta in volta assume rilievo. Partendo dal campo del diritto internazionale dei diritti umani, il divieto di mistreatment richiede definizioni elastiche, dai contenuti a geometrie variabili, in grado di far fronte ai nuovi mezzi di annichilimento della persona che la realtà presenta. La cd logica sfumata che caratterizza le decisioni delle Corti dei diritti umani e degli organi dei trattati, frutto di interpretazioni sistematiche, teleologiche e dinamico-evolutive delle convenzioni, è l’unico modo per garantire effettivamente il diritto a non essere sottoposti a maltrattamenti. Inoltre, l’uso di un lessico di questo tipo permette alla giurisprudenza di registrare i progressi della sensibilità internazionale sul tema, innalzando la tutela della posizione soggettiva con il passare del tempo. Il diritto di Strasburgo è tradizionalmente stato il punto di riferimento principale in materia. In particolare, la struttura cd a scatole cinesi secondo cui la tortura è una forma aggravata di trattamento inumano e degradante in ragione del più elevato livello di sofferenza che procura ha determinato una certa armonizzazione della disciplina nell’ambito dello human rights law. Il passaggio dal diritto internazionale dei diritti umani al diritto internazionale penale esige una fattispecie dai contorni più precisi. Per assicurare la calcolabilità delle conseguenze della condotta è necessario un dato normativo “accessibile” e “prevedibile”: condizionare la sua attuazione al patimento individualmente provato non permette di soddisfare questi requisiti. L’area del penalmente rilevante non può dipendere dall’intensità del male avvertito dal soggetto passivo, bensì sono i caratteri dell’elemento materiale e la specificazione della mens rea i fattori idonei a definire in termini tassativi l’illecito. Allo stesso tempo, le interpretazioni teleologiche e dinamico-evolutive proprie delle Corti dei diritti umani non possono essere adottate dai Tribunali penali, chiamati a rispettare il divieto di analogia in malam partem, a fornire letture restrittive degli enunciati testuali e a non punire azioni che al momento della consumazione non costituivano reato. Sebbene esista una certa consonanza in ordine a obiettivi, valori e lessico usato, il dialogo tra giudici appartenenti ai due poli non può prescindere dalle rispettive differenze strutturali e funzionali: i presidi fondamentali a favore dell’accusato e, in specie, la responsabilità personale colpevole e la legalità congiuntamente ai suoi corollari, devono indirizzare le interazioni giudiziali di modo che alla tutela dei diritti umani perseguita con il crimine non consegua una (paradossale) lesione di altrettanto importanti posizioni soggettive. Al fine di individuare, tra le tante, la qualificazione pertinente, l’interprete è chiamato a valutare l’atto in cui è inserita, l’organo che la pronuncia e il legal framework rilevante: da questa via passa la fedeltà al contenuto sostanziale della parola e la salvaguardia del messaggio universale che porta con sé: un trattamento disumano non ha scusanti.

Il divieto di tortura nel diritto internazionale. Problemi di qualificazione giuridica.

ROSSI, FEDERICO
2018-02-08

Abstract

La nozione giuridica di tortura è stata equiparata ad un “camaleonte” che muta il colore della pelle al variare dell’ambiente in cui si trova: infatti, se da un lato si caratterizza costantemente per l’inflizione deliberata di dolore fisico o mentale attraverso una condotta attiva o omissiva, dall’altro aggiunge, toglie o ridimensiona i suoi elementi in virtù dello scenario considerato. Sebbene la parola sia la stessa, è necessario che il suo contenuto assecondi le peculiarità del quadro normativo che di volta in volta assume rilievo. Partendo dal campo del diritto internazionale dei diritti umani, il divieto di mistreatment richiede definizioni elastiche, dai contenuti a geometrie variabili, in grado di far fronte ai nuovi mezzi di annichilimento della persona che la realtà presenta. La cd logica sfumata che caratterizza le decisioni delle Corti dei diritti umani e degli organi dei trattati, frutto di interpretazioni sistematiche, teleologiche e dinamico-evolutive delle convenzioni, è l’unico modo per garantire effettivamente il diritto a non essere sottoposti a maltrattamenti. Inoltre, l’uso di un lessico di questo tipo permette alla giurisprudenza di registrare i progressi della sensibilità internazionale sul tema, innalzando la tutela della posizione soggettiva con il passare del tempo. Il diritto di Strasburgo è tradizionalmente stato il punto di riferimento principale in materia. In particolare, la struttura cd a scatole cinesi secondo cui la tortura è una forma aggravata di trattamento inumano e degradante in ragione del più elevato livello di sofferenza che procura ha determinato una certa armonizzazione della disciplina nell’ambito dello human rights law. Il passaggio dal diritto internazionale dei diritti umani al diritto internazionale penale esige una fattispecie dai contorni più precisi. Per assicurare la calcolabilità delle conseguenze della condotta è necessario un dato normativo “accessibile” e “prevedibile”: condizionare la sua attuazione al patimento individualmente provato non permette di soddisfare questi requisiti. L’area del penalmente rilevante non può dipendere dall’intensità del male avvertito dal soggetto passivo, bensì sono i caratteri dell’elemento materiale e la specificazione della mens rea i fattori idonei a definire in termini tassativi l’illecito. Allo stesso tempo, le interpretazioni teleologiche e dinamico-evolutive proprie delle Corti dei diritti umani non possono essere adottate dai Tribunali penali, chiamati a rispettare il divieto di analogia in malam partem, a fornire letture restrittive degli enunciati testuali e a non punire azioni che al momento della consumazione non costituivano reato. Sebbene esista una certa consonanza in ordine a obiettivi, valori e lessico usato, il dialogo tra giudici appartenenti ai due poli non può prescindere dalle rispettive differenze strutturali e funzionali: i presidi fondamentali a favore dell’accusato e, in specie, la responsabilità personale colpevole e la legalità congiuntamente ai suoi corollari, devono indirizzare le interazioni giudiziali di modo che alla tutela dei diritti umani perseguita con il crimine non consegua una (paradossale) lesione di altrettanto importanti posizioni soggettive. Al fine di individuare, tra le tante, la qualificazione pertinente, l’interprete è chiamato a valutare l’atto in cui è inserita, l’organo che la pronuncia e il legal framework rilevante: da questa via passa la fedeltà al contenuto sostanziale della parola e la salvaguardia del messaggio universale che porta con sé: un trattamento disumano non ha scusanti.
8-feb-2018
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
Federico Rossi Tesi di dottorato.pdf

accesso aperto

Descrizione: tesi di dottorato
Dimensione 2.59 MB
Formato Adobe PDF
2.59 MB Adobe PDF Visualizza/Apri

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/1214875
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact