Sulla spinta delle riflessioni maturate in ambito internazionale rispetto alla categoria della Transitional Justice, anche nel nostro Paese il problema della giustizia verso il fascismo si è imposto al centro della discussione storiografica. La recente apertura dei fondi archivistici delle CAS, tribunali preposti alla punizione del collaborazionismo secondo quanto previsto dal decreto 142/45, ha consentito lavvio di una nuova e feconda stagione di studi sul tema, allinsegna di un ulteriore approfondimento della dialettica continuità/discontinuità che ha contrassegnato la transizione italiana dal fascismo alla democrazia. La presente tesi ha come obiettivo quello di esplorare e valutare lesperienza delle CAS nella regione lombarda, che, sebbene tra i territori con il più alto numero di processi per collaborazionismo, risulta tuttavia ancora non a sufficienza indagata dalla storiografia. A questo proposito, la domanda che muove la ricerca è la seguente: è vero che in Lombardia e, quindi, in Italia, non cè mai stata, in assoluto, una resa dei conti con quanti avevano aderito alla RSI e perpetrato crimini in nome di questultima? Avvalendosi principalmente delle carte del Commissariato alla Giustizia del Cln lombardo e dei documenti giudiziari prodotti dalle CAS lombarde, il lavoro prova a rispondere a questa domanda prendendo in esame un punto di vista in parte nuovo e originale quello del commissario alla giustizia Aurelio Becca e focalizzando lattenzione su due casi politico-giudiziari particolarmente significativi e finora mai approfonditi: quello del capo della provincia di Genova Carlo Emanuele Basile e quello del presidente della Montecatini Guido Donegani. Partendo dal resoconto delle rispettive vicende processuali e ricorrendo ad una pluralità di fonti quali i fascicoli personali dei magistrati e la stampa coeva, si sviscerano una serie di tematiche e aspetti cruciali per la comprensione delle dinamiche della giustizia in transizione, come la mentalità della magistratura e le reazioni dell'opinione pubblica rispetto alle sentenze. La tesi mette in luce il contesto complesso in cui le CAS lombarde si trovarono ad operare, tra carenze umane e materiali, fragilità legislative, mancata epurazione della magistratura e delle forze di Pubblica Sicurezza, debole coesione del fronte ciellenista, pressioni politiche internazionali. È però soprattutto nella tensione tra giustizia legale e giustizia politica che si ravvisa limpedimento maggiore alloperato di questi tribunali, stretti nella morsa tra lesigenza di normalizzare e ricostruire il Paese, da un lato, e la necessità di soddisfare lansia di vendetta proveniente dalle vittime dei crimini fascisti, dallaltro. In questo senso, la dialettica quasi schizofrenica tra CAS e Suprema Corte di Cassazione che anima la curiosa vicenda processuale di Basile, mostra, meglio di ogni altra cosa, la difficile impresa di conciliare le istanze profondamente diverse che sorgono allinterno di una società in transizione. Nel giro di pochi anni dalla fine della guerra, la stragrande maggioranza dei collaborazionisti imputati (Basile e Donegani inclusi) potè tornare in libertà. Eppure, soffermando lo sguardo sul contenuto delle sentenze pronunciate dalle CAS, si scopre che in più di un caso i giudici avevano espresso una condanna nei confronti dei crimini compiuti tra il 43 e il 45, dando così un apporto prezioso al riconoscimento delle responsabilità della RSI. Ciò, unito alle vivaci iniziative in materia legislativa in seno al Commissariato alla Giustizia, suggerisce lopportunità di formulare rispetto ai percorsi della giustizia italiana del secondo dopoguerra un giudizio un po' più articolato e sfumato di quello finora elaborato.

La "giustizia in transizione" in Italia: l'esperienza delle Corti d'Assise Straordinarie lombarde (1945-'50)

BORDONI, LAURA
2020-03-26

Abstract

Sulla spinta delle riflessioni maturate in ambito internazionale rispetto alla categoria della Transitional Justice, anche nel nostro Paese il problema della giustizia verso il fascismo si è imposto al centro della discussione storiografica. La recente apertura dei fondi archivistici delle CAS, tribunali preposti alla punizione del collaborazionismo secondo quanto previsto dal decreto 142/45, ha consentito lavvio di una nuova e feconda stagione di studi sul tema, allinsegna di un ulteriore approfondimento della dialettica continuità/discontinuità che ha contrassegnato la transizione italiana dal fascismo alla democrazia. La presente tesi ha come obiettivo quello di esplorare e valutare lesperienza delle CAS nella regione lombarda, che, sebbene tra i territori con il più alto numero di processi per collaborazionismo, risulta tuttavia ancora non a sufficienza indagata dalla storiografia. A questo proposito, la domanda che muove la ricerca è la seguente: è vero che in Lombardia e, quindi, in Italia, non cè mai stata, in assoluto, una resa dei conti con quanti avevano aderito alla RSI e perpetrato crimini in nome di questultima? Avvalendosi principalmente delle carte del Commissariato alla Giustizia del Cln lombardo e dei documenti giudiziari prodotti dalle CAS lombarde, il lavoro prova a rispondere a questa domanda prendendo in esame un punto di vista in parte nuovo e originale quello del commissario alla giustizia Aurelio Becca e focalizzando lattenzione su due casi politico-giudiziari particolarmente significativi e finora mai approfonditi: quello del capo della provincia di Genova Carlo Emanuele Basile e quello del presidente della Montecatini Guido Donegani. Partendo dal resoconto delle rispettive vicende processuali e ricorrendo ad una pluralità di fonti quali i fascicoli personali dei magistrati e la stampa coeva, si sviscerano una serie di tematiche e aspetti cruciali per la comprensione delle dinamiche della giustizia in transizione, come la mentalità della magistratura e le reazioni dell'opinione pubblica rispetto alle sentenze. La tesi mette in luce il contesto complesso in cui le CAS lombarde si trovarono ad operare, tra carenze umane e materiali, fragilità legislative, mancata epurazione della magistratura e delle forze di Pubblica Sicurezza, debole coesione del fronte ciellenista, pressioni politiche internazionali. È però soprattutto nella tensione tra giustizia legale e giustizia politica che si ravvisa limpedimento maggiore alloperato di questi tribunali, stretti nella morsa tra lesigenza di normalizzare e ricostruire il Paese, da un lato, e la necessità di soddisfare lansia di vendetta proveniente dalle vittime dei crimini fascisti, dallaltro. In questo senso, la dialettica quasi schizofrenica tra CAS e Suprema Corte di Cassazione che anima la curiosa vicenda processuale di Basile, mostra, meglio di ogni altra cosa, la difficile impresa di conciliare le istanze profondamente diverse che sorgono allinterno di una società in transizione. Nel giro di pochi anni dalla fine della guerra, la stragrande maggioranza dei collaborazionisti imputati (Basile e Donegani inclusi) potè tornare in libertà. Eppure, soffermando lo sguardo sul contenuto delle sentenze pronunciate dalle CAS, si scopre che in più di un caso i giudici avevano espresso una condanna nei confronti dei crimini compiuti tra il 43 e il 45, dando così un apporto prezioso al riconoscimento delle responsabilità della RSI. Ciò, unito alle vivaci iniziative in materia legislativa in seno al Commissariato alla Giustizia, suggerisce lopportunità di formulare rispetto ai percorsi della giustizia italiana del secondo dopoguerra un giudizio un po' più articolato e sfumato di quello finora elaborato.
26-mar-2020
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/1329408
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