«A volte penso a una cosa come Bohème, il tragico e sentimentale mescolati al comico (e credo che questo genere sarebbe ancora da rifarsi)»: Puccini scriveva così a Valentino Soldani fin dal 1904. Nel saggio dedicato alla drammaturgia dell’opera e al libretto, Daniela Goldin Folena cita un’altra lettera del compositore pressoché negli stessi termini, scritta dieci giorni prima di quella citata e rivolta a Luigi Illica, per notare come Puccini «accarezza solo nella maturità l’idea di mettere alla prova una sua ipotetica vena comica», tenendo ben presente la ‘rivoluzione’ del Falstaff. Ma la studiosa respinge legittimamente, sulla base dei documenti, l’ipotesi che Puccini avesse anche solo lontanamente pensato di accettare la proposta di Eibenschütz e Berté, direttori del Karltheater di Vienna, di un ingaggio dietro lauto compenso avanzata nel 1913. I due impresari volevano un’operetta alla Lehár, mentre Puccini «doveva invece realizzare etimologicamente la commedia, un genere medio e quotidiano, per così dire, legato sostanzialmente all’attualità, come sono per definizione le commedie», nota Goldin. Cadono così le obiezioni di alcuni detrattori in cattiva fede, che hanno puntato il dito sul genere a cui La rondine avrebbe dovuto appartenere per depotenziarne la sostanza musicale, trascurando il dato di fatto: fin dai primi tempi Puccini non volle scrivere un’operetta. Giovanni Guanti, muovendosi agilmente fra questioni estetiche e drammaturgiche, attira la nostra attenzione su alcuni dati strutturali dell’intreccio, che hanno un’incidenza sulla ricezione del messaggio dell’opera. «È curioso» scrive, «che l’etimologia di rondine ne sveli metaforicamente l’indole profonda di vera e propria “mano alata” capace di ghermire insetti con micidiale destrezza; ed è curioso altresì che il frangente di cui sopra vada individuato proprio in una seduta chiromantica (“la mèta / d’ogni donna è segnata / nel palmo della mano…”), in cui accade che la ‘mangiatrice di uomini’ Magda venga a sua volta presa al laccio dalla profezia del poeta Prunier […] ma non dalla capacità divinatoria […] bensì, dal suo stesso amor fati, inteso quale libera e insieme supina elezione di ciò che era destinato, comunque, ad apparirle prima, e a rimanere poi, grave, misterioso e sibillino». Complice o vittima che sia del proprio destino, Magda è un personaggio singolare nella galleria delle donne di Puccini, anche perché la sua vicenda riflette in forma metaforica il punto di vista dell’autore. La sua rinuncia all’amore eterno è anche rifiuto della morte che inevitabilmente tocca alle eroine precedenti, con l’unica eccezione di Minnie, ed esprime la volontà del compositore stesso che, lasciandosi alle spalle il mondo dei buoni sentimenti, ha adottato nuove strategie narrative, altrettanti passi verso la riformulazione della propria poetica. La meravigliosa partitura della Rondine testimonia questo atteggiamento disincantato, costellata com’è di riferimenti ironici – si pensi alla caricatura di d’Annunzio che emerge nei tratti del poeta Prunier, e alla citazione, non proprio benevola, da Salome di Richard Strauss (cone ho fatto notare nella guida all’ascolto) – e autoironici – e si veda come «l’amor sentimentale» sia preso in giro nel salotto di Magda, delle amiche che invocano «un verso del Musset». Dietro i rintocchi delle campane vespertine, nell’aura dell’«addio senza rancor» che chiude La rondine, si scorge l’immagine del paesaggio sonoro di Lucca (più che quello della Costa azzurra), ed è un richiamo alle radici di Puccini che esprime con un pizzico di nostalgia il suo congedo dal mondo drammatico fin lì ritratto, ma soprattutto la premessa indispensabile della sua tarda maturità, nel segno di rinnovati esperimenti.

Giacomo Puccini, «La rondine», «La Fenice prima dell’opera», 2008/1

GIRARDI, MICHELE
2008-01-01

Abstract

«A volte penso a una cosa come Bohème, il tragico e sentimentale mescolati al comico (e credo che questo genere sarebbe ancora da rifarsi)»: Puccini scriveva così a Valentino Soldani fin dal 1904. Nel saggio dedicato alla drammaturgia dell’opera e al libretto, Daniela Goldin Folena cita un’altra lettera del compositore pressoché negli stessi termini, scritta dieci giorni prima di quella citata e rivolta a Luigi Illica, per notare come Puccini «accarezza solo nella maturità l’idea di mettere alla prova una sua ipotetica vena comica», tenendo ben presente la ‘rivoluzione’ del Falstaff. Ma la studiosa respinge legittimamente, sulla base dei documenti, l’ipotesi che Puccini avesse anche solo lontanamente pensato di accettare la proposta di Eibenschütz e Berté, direttori del Karltheater di Vienna, di un ingaggio dietro lauto compenso avanzata nel 1913. I due impresari volevano un’operetta alla Lehár, mentre Puccini «doveva invece realizzare etimologicamente la commedia, un genere medio e quotidiano, per così dire, legato sostanzialmente all’attualità, come sono per definizione le commedie», nota Goldin. Cadono così le obiezioni di alcuni detrattori in cattiva fede, che hanno puntato il dito sul genere a cui La rondine avrebbe dovuto appartenere per depotenziarne la sostanza musicale, trascurando il dato di fatto: fin dai primi tempi Puccini non volle scrivere un’operetta. Giovanni Guanti, muovendosi agilmente fra questioni estetiche e drammaturgiche, attira la nostra attenzione su alcuni dati strutturali dell’intreccio, che hanno un’incidenza sulla ricezione del messaggio dell’opera. «È curioso» scrive, «che l’etimologia di rondine ne sveli metaforicamente l’indole profonda di vera e propria “mano alata” capace di ghermire insetti con micidiale destrezza; ed è curioso altresì che il frangente di cui sopra vada individuato proprio in una seduta chiromantica (“la mèta / d’ogni donna è segnata / nel palmo della mano…”), in cui accade che la ‘mangiatrice di uomini’ Magda venga a sua volta presa al laccio dalla profezia del poeta Prunier […] ma non dalla capacità divinatoria […] bensì, dal suo stesso amor fati, inteso quale libera e insieme supina elezione di ciò che era destinato, comunque, ad apparirle prima, e a rimanere poi, grave, misterioso e sibillino». Complice o vittima che sia del proprio destino, Magda è un personaggio singolare nella galleria delle donne di Puccini, anche perché la sua vicenda riflette in forma metaforica il punto di vista dell’autore. La sua rinuncia all’amore eterno è anche rifiuto della morte che inevitabilmente tocca alle eroine precedenti, con l’unica eccezione di Minnie, ed esprime la volontà del compositore stesso che, lasciandosi alle spalle il mondo dei buoni sentimenti, ha adottato nuove strategie narrative, altrettanti passi verso la riformulazione della propria poetica. La meravigliosa partitura della Rondine testimonia questo atteggiamento disincantato, costellata com’è di riferimenti ironici – si pensi alla caricatura di d’Annunzio che emerge nei tratti del poeta Prunier, e alla citazione, non proprio benevola, da Salome di Richard Strauss (cone ho fatto notare nella guida all’ascolto) – e autoironici – e si veda come «l’amor sentimentale» sia preso in giro nel salotto di Magda, delle amiche che invocano «un verso del Musset». Dietro i rintocchi delle campane vespertine, nell’aura dell’«addio senza rancor» che chiude La rondine, si scorge l’immagine del paesaggio sonoro di Lucca (più che quello della Costa azzurra), ed è un richiamo alle radici di Puccini che esprime con un pizzico di nostalgia il suo congedo dal mondo drammatico fin lì ritratto, ma soprattutto la premessa indispensabile della sua tarda maturità, nel segno di rinnovati esperimenti.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/141030
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