Un dittico inedito di opere brevi – un atto unico vero e proprio di Arnold Schönberg, due atti con prologo, ma struttura da atto unico, di Leoncavallo – chiude la stagione 2008 del Teatro La Fenice e la serie relativa della «Fenice prima dell’opera». In Pagliacci un gesto d’autore rompe la convenzione rappresentativa con lo scopo di palesare il ‘vero’ nel prologo, dal canto suo, è vera tranche de vie, senza forzature particolari, la vicenda raccontata da Schönberg, che ci mostra persino una conversazione telefonica in un interno borghese moderno (siamo negli anni Trenta del Novecento), dove due coniugi in crisi ritrovano la loro armonia proprio quando entrambi vengono apertamente messi alla prova dal possibile tradimento dell’altro. C’è dunque interazione in questo nuovo dittico, che ci fa vedere una realtà ‘adulterina’ riflessa da specchi differenti: Schönberg scrive un atto spensierato, ricco di ironia rivolta sia alla prassi amorosa borghese, sia verso il concetto di ‘moda’, e lo risolve con ottimismo mostrando un’esperienza condivisa e rifiutata in nome dell’amore vero, mentre Leoncavallo procede a senso unico verso la catastrofe, velandola con l’espediente della commedia (teatro nel teatro) per potenziarne la conclusione, col duplice omicidio del solito marito geloso e violento. E se, come afferma Canio nell’atto primo di Pagliacci, «il teatro e la vita non sono la stessa cosa» magari «il vissuto che può avere originato la descrizione di questo “gioco pericoloso” tra una coppia regolare e una eventuale» in Von heute auf morgen – come scrive Anna Maria Morazzoni nel saggio iniziale – «può suggerire un collegamento diretto con la relazione tra i coniugi Schönberg: il compositore non era estraneo al sentimento e al tormento della gelosia e la personalità della seconda moglie – giovane, spiritosa, elegante e corteggiata – poteva offrirgli elementi di preoccupazione». Si è molto discusso sulla scelta ‘metateatrale’ di Leoncavallo, che trova peraltro precedenti a bizzeffe nel mondo letterario francese (dalla Femme de Tabarin di Catulle Mendès, 1876, modello diretto del compositore napoletano, scendendo fino al Théâtre de Clara Gazul di Prosper Merimée, 1825): nel secondo saggio Virgilio Bernardoni, pur tenendo presenti le indagini sin qui svolte sugli aspetti più evidenti del dramma (manifesto del ‘verismo’ musicale attuato mediante scambio «tra finzione e verità»), preferisce «concentrare l’attenzione sul punto di vista del personaggio, sulla sua ‘voce’ e sulle modalità mediante le quali esso si costituisce quale soggetto agente. Un orientamento che mira al cuore della poetica veristica, individuata da Leoncavallo con intuito pre-pirandelliano nella dialettica tra ‘personaggio’ e ‘persona’. L’incommensurabilità tra l’aspetto esteriore dell’attore e la sostanza dell’uomo, infatti, è ciò che rende effettivamente tragico il dramma della gelosia del protagonista Canio, il quale vive così profondamente la dicotomia attore/uomo da rimuginarci sopra nel monologo pronunciato tra sé e sé alla fine dell’atto primo: “Bah, se’ tu forse un uom! Tu se’ Pagliaccio!”, sviluppando così il ‘concetto’ culminante dell’allocuzione che il commediante Tonio, lo “scemo” che quasi fool shakespeariano coglie il fondo delle cose, rivolge al pubblico prima che lo spettacolo abbia inizio: “piuttosto che le nostre povere / gabbane d’istrioni, le nostr’anime / considerate, poiché noi siam uomini / di carne e d’ossa”».
Arnold Schönberg, «Von Heute auf Morgen»-Ruggero Leoncavallo, «Pagliacci», «La Fenice prima dell’opera», 2008/9
GIRARDI, MICHELE
2008-01-01
Abstract
Un dittico inedito di opere brevi – un atto unico vero e proprio di Arnold Schönberg, due atti con prologo, ma struttura da atto unico, di Leoncavallo – chiude la stagione 2008 del Teatro La Fenice e la serie relativa della «Fenice prima dell’opera». In Pagliacci un gesto d’autore rompe la convenzione rappresentativa con lo scopo di palesare il ‘vero’ nel prologo, dal canto suo, è vera tranche de vie, senza forzature particolari, la vicenda raccontata da Schönberg, che ci mostra persino una conversazione telefonica in un interno borghese moderno (siamo negli anni Trenta del Novecento), dove due coniugi in crisi ritrovano la loro armonia proprio quando entrambi vengono apertamente messi alla prova dal possibile tradimento dell’altro. C’è dunque interazione in questo nuovo dittico, che ci fa vedere una realtà ‘adulterina’ riflessa da specchi differenti: Schönberg scrive un atto spensierato, ricco di ironia rivolta sia alla prassi amorosa borghese, sia verso il concetto di ‘moda’, e lo risolve con ottimismo mostrando un’esperienza condivisa e rifiutata in nome dell’amore vero, mentre Leoncavallo procede a senso unico verso la catastrofe, velandola con l’espediente della commedia (teatro nel teatro) per potenziarne la conclusione, col duplice omicidio del solito marito geloso e violento. E se, come afferma Canio nell’atto primo di Pagliacci, «il teatro e la vita non sono la stessa cosa» magari «il vissuto che può avere originato la descrizione di questo “gioco pericoloso” tra una coppia regolare e una eventuale» in Von heute auf morgen – come scrive Anna Maria Morazzoni nel saggio iniziale – «può suggerire un collegamento diretto con la relazione tra i coniugi Schönberg: il compositore non era estraneo al sentimento e al tormento della gelosia e la personalità della seconda moglie – giovane, spiritosa, elegante e corteggiata – poteva offrirgli elementi di preoccupazione». Si è molto discusso sulla scelta ‘metateatrale’ di Leoncavallo, che trova peraltro precedenti a bizzeffe nel mondo letterario francese (dalla Femme de Tabarin di Catulle Mendès, 1876, modello diretto del compositore napoletano, scendendo fino al Théâtre de Clara Gazul di Prosper Merimée, 1825): nel secondo saggio Virgilio Bernardoni, pur tenendo presenti le indagini sin qui svolte sugli aspetti più evidenti del dramma (manifesto del ‘verismo’ musicale attuato mediante scambio «tra finzione e verità»), preferisce «concentrare l’attenzione sul punto di vista del personaggio, sulla sua ‘voce’ e sulle modalità mediante le quali esso si costituisce quale soggetto agente. Un orientamento che mira al cuore della poetica veristica, individuata da Leoncavallo con intuito pre-pirandelliano nella dialettica tra ‘personaggio’ e ‘persona’. L’incommensurabilità tra l’aspetto esteriore dell’attore e la sostanza dell’uomo, infatti, è ciò che rende effettivamente tragico il dramma della gelosia del protagonista Canio, il quale vive così profondamente la dicotomia attore/uomo da rimuginarci sopra nel monologo pronunciato tra sé e sé alla fine dell’atto primo: “Bah, se’ tu forse un uom! Tu se’ Pagliaccio!”, sviluppando così il ‘concetto’ culminante dell’allocuzione che il commediante Tonio, lo “scemo” che quasi fool shakespeariano coglie il fondo delle cose, rivolge al pubblico prima che lo spettacolo abbia inizio: “piuttosto che le nostre povere / gabbane d’istrioni, le nostr’anime / considerate, poiché noi siam uomini / di carne e d’ossa”».I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.