Il dibattito sulla natura pubblicistica o privatistica delle concessione è stato alimentato da un’esigenza di semplificazione: la concessione è un istituto complesso e frammentato; di conseguenza, ricondurla al diritto pubblico o al diritto privato è funzionale a definire la prospettiva di analisi da adottare e a circoscrivere gli strumenti volti a risolvere la problematiche che la caratterizzano. Tuttavia, tale tentativo di semplificazione è illusorio, in quanto le criticità connesse all’istituto concessorio sopravvivono a una qualificazione pubblicistica o privatistica. La necessità di superare la dicotomia pubblico-privato quale fulcro del dibattito dottrinale è divenuta evidente con lo sviluppo della normativa europea in materia di concessioni. Sebbene nel recepimento della direttiva 2014/23/UE il legislatore abbia qualificato la concessione come contratto, le conseguenze di tale scelta si sono rivelate più formali che sostanziali. In particolare, stabilire normativamente la natura contrattuale della concessione non la trasforma ex se in un contratto di stampo privatistico. Da un lato, infatti, vengono riconosciuti all’amministrazione poteri di intervento sul rapporto concessorio, in ragione della sua lunga durata; dall’altro, però, non è chiaro quali siano i limiti cui tali poteri sono subordinati né come garantire che il concedente sia sufficientemente forte per esercitarli. Più specificamente, la scelta del legislatore di attribuire all’amministrazione poteri più incisivi di cessazione del rapporto rispetto a quelli previsti in materia di appalti si giustifica in forza della notevole estensione temporale dei rapporti concessori nonché dalla tutela degli interessi pubblici agli stessi correlati. Pertanto, è centrale interrogarsi sull’effettività dei poteri di controllo attribuiti all’amministrazione. La previsione dello jus variandi o della cessazione anticipata, infatti, non garantisce il loro esercizio in concreto, in quanto quest’ultimo è strettamente connesso alla forza del contraente pubblico nel rapporto concessorio. In generale, dunque, gli strumenti amministrativi di intervento sulla concessione devono essere effettivi e non solo nominali; nello stesso tempo, però, l’amministrazione deve ricorrervi nel rispetto del legittimo affidamento del privato ossia in modo conforme al principio del pacta sunt servanda. Orbene, dal momento che un sostrato comune alle concessioni può essere individuato nella loro funzionalizzazione al perseguimento dell’interesse pubblico, tale aspetto non può essere trascurato nella ricerca di un equilibrio fra l’esercizio dei poteri attribuiti all’amministrazione e la tutela dell’affidamento dei concessionari. La lunga durata che caratterizza la concessione, infatti, rende improbabile che l’intero rapporto possa essere disciplinato ab origine nella convenzione sottoscritta dalle parti; di conseguenza, le condizioni dell’affidamento devono ritenersi modificabili non solo consensualmente ma anche unilateralmente da parte dell’amministrazione, se ciò è necessario alla cura dell’interesse pubblico. Pertanto, senza trascurare l’importanza degli investimenti privati per il sistema paese e quindi la necessità di non disincentivarli, la concessione deve essere caratterizzata da un quid cha, al mutare delle circostanze esistenti al momento del suo affidamento, consenta la tutela dell’interesse pubblico. La funzionalizzazione della concessione al perseguimento dell’interesse pubblico dovrebbe precedere da un punto di vista logico la definizione della disciplina dell’istituto concessorio. Tale operazione sarebbe infatti strumentale all’istituzione di una dimensione riservata all’utilità collettiva, non sottoposta alla logica dell’appropriazione individuale, senza possibilità di essere messa in discussione da valutazione di opportunità contingenti.

Concessione amministrativa e disciplina del rapporto

BELLINI, ALESSANDRA
2021-06-22

Abstract

Il dibattito sulla natura pubblicistica o privatistica delle concessione è stato alimentato da un’esigenza di semplificazione: la concessione è un istituto complesso e frammentato; di conseguenza, ricondurla al diritto pubblico o al diritto privato è funzionale a definire la prospettiva di analisi da adottare e a circoscrivere gli strumenti volti a risolvere la problematiche che la caratterizzano. Tuttavia, tale tentativo di semplificazione è illusorio, in quanto le criticità connesse all’istituto concessorio sopravvivono a una qualificazione pubblicistica o privatistica. La necessità di superare la dicotomia pubblico-privato quale fulcro del dibattito dottrinale è divenuta evidente con lo sviluppo della normativa europea in materia di concessioni. Sebbene nel recepimento della direttiva 2014/23/UE il legislatore abbia qualificato la concessione come contratto, le conseguenze di tale scelta si sono rivelate più formali che sostanziali. In particolare, stabilire normativamente la natura contrattuale della concessione non la trasforma ex se in un contratto di stampo privatistico. Da un lato, infatti, vengono riconosciuti all’amministrazione poteri di intervento sul rapporto concessorio, in ragione della sua lunga durata; dall’altro, però, non è chiaro quali siano i limiti cui tali poteri sono subordinati né come garantire che il concedente sia sufficientemente forte per esercitarli. Più specificamente, la scelta del legislatore di attribuire all’amministrazione poteri più incisivi di cessazione del rapporto rispetto a quelli previsti in materia di appalti si giustifica in forza della notevole estensione temporale dei rapporti concessori nonché dalla tutela degli interessi pubblici agli stessi correlati. Pertanto, è centrale interrogarsi sull’effettività dei poteri di controllo attribuiti all’amministrazione. La previsione dello jus variandi o della cessazione anticipata, infatti, non garantisce il loro esercizio in concreto, in quanto quest’ultimo è strettamente connesso alla forza del contraente pubblico nel rapporto concessorio. In generale, dunque, gli strumenti amministrativi di intervento sulla concessione devono essere effettivi e non solo nominali; nello stesso tempo, però, l’amministrazione deve ricorrervi nel rispetto del legittimo affidamento del privato ossia in modo conforme al principio del pacta sunt servanda. Orbene, dal momento che un sostrato comune alle concessioni può essere individuato nella loro funzionalizzazione al perseguimento dell’interesse pubblico, tale aspetto non può essere trascurato nella ricerca di un equilibrio fra l’esercizio dei poteri attribuiti all’amministrazione e la tutela dell’affidamento dei concessionari. La lunga durata che caratterizza la concessione, infatti, rende improbabile che l’intero rapporto possa essere disciplinato ab origine nella convenzione sottoscritta dalle parti; di conseguenza, le condizioni dell’affidamento devono ritenersi modificabili non solo consensualmente ma anche unilateralmente da parte dell’amministrazione, se ciò è necessario alla cura dell’interesse pubblico. Pertanto, senza trascurare l’importanza degli investimenti privati per il sistema paese e quindi la necessità di non disincentivarli, la concessione deve essere caratterizzata da un quid cha, al mutare delle circostanze esistenti al momento del suo affidamento, consenta la tutela dell’interesse pubblico. La funzionalizzazione della concessione al perseguimento dell’interesse pubblico dovrebbe precedere da un punto di vista logico la definizione della disciplina dell’istituto concessorio. Tale operazione sarebbe infatti strumentale all’istituzione di una dimensione riservata all’utilità collettiva, non sottoposta alla logica dell’appropriazione individuale, senza possibilità di essere messa in discussione da valutazione di opportunità contingenti.
22-giu-2021
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Descrizione: Concessione amministrativa e disciplina del rapporto
Tipologia: Tesi di dottorato
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/1437675
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