Madama Butterfly è notissima anche per essere stato l’unico fiasco nella carriera matura di Puccini, fischiata senza risparmio dal pubblico del Teatro alla Scala di Milano la sera del 17 febbraio 1904. Ora sappiamo con una certa sicurezza che il disastro fu scientemente preordinato da una claque al servizio dei rivali di Puccini, promossa dall’editore-impresario Sonzogno, ma la critica ha battuto altre piste, scovando nello spartito che attestava la prima versione alcune imperfezioni rispetto a quello che, in linea di massima, si esegue ai nostri giorni. Puccini era perennemente insoddisfatto delle sue opere, ma nel caso di Butterfly intervenne in modo quasi ossessivo per tre anni, fino a che non trovò un assetto soddisfacente nel 1907 – anche se ebbe un ultimo ripensamento, di carattere strutturale, nel 1921. Ipotesi critiche seriori, che portarono alla luce non una, ma quattro versioni dell’opera fino al 1907, sulla base delle indicazioni di un bibliografo (Hopkinson) che aveva catalogato quattro edizioni (e più) della riduzione per canto e pianoforte. In realtà le ‘versioni’ erano ben di più, come dimostra il fondamentale saggio di Dieter Schickling, pubblicato in inglese nel 1998, qui tradotto per la prima volta in italiano e aggiornato per la circostanza. Questo articolo è un’ottima dimostrazione dell’utilità della filologia testuale combinata alla ricerca sulle fonti: Schickling ha minuziosamente studiato tutti gli spartiti e dimostra chiaramente come non si possa parlare di versioni rappresentabili, ma di stadi di lavorazione di una partitura che va considerata come un opus in fieri. Difficile spiegare nel dettaglio la strategia tematica che Puccini mette in atto per orientare la percezione del pubblico che partecipa alla «tragedia giapponese» – vale a dire una tragedia che appartiene alla grande tradizione occidentale, ma ha indossato, per questa circostanza, un variopinto kimono. Ho cercato di farlo nella guida all’ascolto, che commenta un libretto sinora mai uscito in questa forma, poiché segue l’edizione francese pubblicata in occasione delle recite all’Opéra-Comique il 28 dicembre 1906. Nonostante il saggio di Schickling dimostri che le correzioni precedenti di Puccini avessero anticipato le richieste di cambiamento proposte da Albert Carré, direttore dell’Opéra-Comique e regista di vaglia (a lui dobbiamo, tra l’altro, il Pelléas et Mélisande, 1902), rimane vero che la versione corrente di Madama Butterfly trovò a Parigi la forma migliore, e che ciò fu il frutto di una collaborazione fra compositore e regista (si vedano i bozzetti, qui a p. 12). Anche Riccardo Pecci, autore del saggio che apre questo volume, ha indagato un aspetto speciale della creatività pucciniana, ch’è innanzitutto grande musica servita da una raffinata elaborazione. Partendo dall’inno della marina statunitense, ora nazionale (The Star-Spangled Banner), che il compositore impiega, come materiale d’uso, per rendere pertinente l’opposizione fra Oriente e Occidente ch’è al centro di Butterfly, egli ci rivela con finezza ermeneutica alcuni giochi di derivazione tematica che mettono in luce, con dovizia di particolari, la strategia complessiva attuata da Puccini. Strategia che, allora come ora, non ha mai smesso di affascinare il pubblico di tutto il mondo. Forse la critica ebbe (ha?) bisogno di pretesti per elevare un monumento alla sua cattiva coscienza?

Giacomo Puccini, «Madama Butterfly», «La Fenice prima dell’opera», 2009/4

GIRARDI, MICHELE
2009-01-01

Abstract

Madama Butterfly è notissima anche per essere stato l’unico fiasco nella carriera matura di Puccini, fischiata senza risparmio dal pubblico del Teatro alla Scala di Milano la sera del 17 febbraio 1904. Ora sappiamo con una certa sicurezza che il disastro fu scientemente preordinato da una claque al servizio dei rivali di Puccini, promossa dall’editore-impresario Sonzogno, ma la critica ha battuto altre piste, scovando nello spartito che attestava la prima versione alcune imperfezioni rispetto a quello che, in linea di massima, si esegue ai nostri giorni. Puccini era perennemente insoddisfatto delle sue opere, ma nel caso di Butterfly intervenne in modo quasi ossessivo per tre anni, fino a che non trovò un assetto soddisfacente nel 1907 – anche se ebbe un ultimo ripensamento, di carattere strutturale, nel 1921. Ipotesi critiche seriori, che portarono alla luce non una, ma quattro versioni dell’opera fino al 1907, sulla base delle indicazioni di un bibliografo (Hopkinson) che aveva catalogato quattro edizioni (e più) della riduzione per canto e pianoforte. In realtà le ‘versioni’ erano ben di più, come dimostra il fondamentale saggio di Dieter Schickling, pubblicato in inglese nel 1998, qui tradotto per la prima volta in italiano e aggiornato per la circostanza. Questo articolo è un’ottima dimostrazione dell’utilità della filologia testuale combinata alla ricerca sulle fonti: Schickling ha minuziosamente studiato tutti gli spartiti e dimostra chiaramente come non si possa parlare di versioni rappresentabili, ma di stadi di lavorazione di una partitura che va considerata come un opus in fieri. Difficile spiegare nel dettaglio la strategia tematica che Puccini mette in atto per orientare la percezione del pubblico che partecipa alla «tragedia giapponese» – vale a dire una tragedia che appartiene alla grande tradizione occidentale, ma ha indossato, per questa circostanza, un variopinto kimono. Ho cercato di farlo nella guida all’ascolto, che commenta un libretto sinora mai uscito in questa forma, poiché segue l’edizione francese pubblicata in occasione delle recite all’Opéra-Comique il 28 dicembre 1906. Nonostante il saggio di Schickling dimostri che le correzioni precedenti di Puccini avessero anticipato le richieste di cambiamento proposte da Albert Carré, direttore dell’Opéra-Comique e regista di vaglia (a lui dobbiamo, tra l’altro, il Pelléas et Mélisande, 1902), rimane vero che la versione corrente di Madama Butterfly trovò a Parigi la forma migliore, e che ciò fu il frutto di una collaborazione fra compositore e regista (si vedano i bozzetti, qui a p. 12). Anche Riccardo Pecci, autore del saggio che apre questo volume, ha indagato un aspetto speciale della creatività pucciniana, ch’è innanzitutto grande musica servita da una raffinata elaborazione. Partendo dall’inno della marina statunitense, ora nazionale (The Star-Spangled Banner), che il compositore impiega, come materiale d’uso, per rendere pertinente l’opposizione fra Oriente e Occidente ch’è al centro di Butterfly, egli ci rivela con finezza ermeneutica alcuni giochi di derivazione tematica che mettono in luce, con dovizia di particolari, la strategia complessiva attuata da Puccini. Strategia che, allora come ora, non ha mai smesso di affascinare il pubblico di tutto il mondo. Forse la critica ebbe (ha?) bisogno di pretesti per elevare un monumento alla sua cattiva coscienza?
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/148199
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