SFa un certo effetto assistere al Barbiere di Siviglia, che Paisiello trasse direttamente dalla commedia di Beaumarchais, ma è il miglior modo per confrontarlo con Il barbiere di Siviglia di Rossini, e capire perché il capolavoro del pesarese, a ragione o a torto, si è imposto tanto profondamente da eclissare il suo illustre precedente. Correggiamo, anzitutto, un errore di fondo tramandato dalla tradizione, come ci invita a fare Andrea Chegai nell’ampio saggio d’apertura di questo volume: il libretto, a torto attribuito a Giuseppe Petrosellini, è invece opera di un traduttore anonimo, e con ogni probabilità neppure italofono (data la forte presenza di gallicismi potrebbe darsi, come prospetta Massimiliano Locanto, autore della guida all’opera, che fosse francofono). Cambia molto, invece, il ruolo del barbiere, che Rossini elevò a protagonista della partitura, non solo factotum ma autentico deus ex machina: delle infinite incarnazioni di Figaro si occupano, in questo volume, Marco Beghelli e Saverio Lamacchia, autori di un saggio brioso a quattro mani che sfaterà molti luoghi comuni. Certo il capolavoro di Paisiello dimostra la piena sintonia dell’autore con lo spirito della sua epoca, ed è ricco tanto di pagine brillanti quanto di espansioni sentimentali tre le più riuscite. Il compositore tarantino fu, del resto, uomo di mondo dalle mille risorse, come mostra la sua biografia, pronto a servire fedelmente tanto i Borboni, quanto la nobiltà russa, ma anche a lavorare per Napoleone Bonaparte – ciò non può stupire, tuttavia, chi segua le cronache politiche attuali. Uomo di ogni tempo, dunque, la cui reale statura artistica va salvaguardata, come scrive Roberto Campanella, dagli ammiratori di comodo che vedrebbero celarsi un complotto dietro l’oblio in cui sarebbero ingiustificatamente caduti il compositore e il suo Figaro.

Giovanni Paisiello, «Il barbiere di Siviglia», «La Fenice prima dell’opera», 2004/6

GIRARDI, MICHELE
2004-01-01

Abstract

SFa un certo effetto assistere al Barbiere di Siviglia, che Paisiello trasse direttamente dalla commedia di Beaumarchais, ma è il miglior modo per confrontarlo con Il barbiere di Siviglia di Rossini, e capire perché il capolavoro del pesarese, a ragione o a torto, si è imposto tanto profondamente da eclissare il suo illustre precedente. Correggiamo, anzitutto, un errore di fondo tramandato dalla tradizione, come ci invita a fare Andrea Chegai nell’ampio saggio d’apertura di questo volume: il libretto, a torto attribuito a Giuseppe Petrosellini, è invece opera di un traduttore anonimo, e con ogni probabilità neppure italofono (data la forte presenza di gallicismi potrebbe darsi, come prospetta Massimiliano Locanto, autore della guida all’opera, che fosse francofono). Cambia molto, invece, il ruolo del barbiere, che Rossini elevò a protagonista della partitura, non solo factotum ma autentico deus ex machina: delle infinite incarnazioni di Figaro si occupano, in questo volume, Marco Beghelli e Saverio Lamacchia, autori di un saggio brioso a quattro mani che sfaterà molti luoghi comuni. Certo il capolavoro di Paisiello dimostra la piena sintonia dell’autore con lo spirito della sua epoca, ed è ricco tanto di pagine brillanti quanto di espansioni sentimentali tre le più riuscite. Il compositore tarantino fu, del resto, uomo di mondo dalle mille risorse, come mostra la sua biografia, pronto a servire fedelmente tanto i Borboni, quanto la nobiltà russa, ma anche a lavorare per Napoleone Bonaparte – ciò non può stupire, tuttavia, chi segua le cronache politiche attuali. Uomo di ogni tempo, dunque, la cui reale statura artistica va salvaguardata, come scrive Roberto Campanella, dagli ammiratori di comodo che vedrebbero celarsi un complotto dietro l’oblio in cui sarebbero ingiustificatamente caduti il compositore e il suo Figaro.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/152142
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