Götterdämmerung è il terzo appuntamento dei quattro programmati dal Teatro la Fenice per celebrare il Wagner del capolavoro irrinunciabile, Der Ring des Nibelungen, saga scenica in un prologo e tre giornate. Il crepuscolo degli dei approda oggi a Venezia come parte di una coproduzione del ciclo nata a Colonia nel 2004, di cui il pubblico della Fenice ha già apprezzato Die Walküre (2006) e Siegfried (2007), e che verrà poi chiusa dalla sua ‘vigilia’, come si definiva un tempo Das Rheingold. Il Ring veneziano del terzo millennio è firmato da Robert Carsen per la regia e Patrick Kinmonth per le scene e i costumi, vale a dire due fra gli artisti più in vista nel palcoscenici lirici di oggi, e si avvale di un musicista straordinario come Jeffrey Tate, concertatore e direttore sensibilissimo. Luca Zoppelli, che firma l’introduzione critica all’intero ciclo della Fenice, scrive qui il terzo capitolo della sua tetralogia, partendo, come gli è abituale, da un titolo significativo come L’eroe in trappola: «Il crepuscolo degli dei», perché «allontanatosi dalla natura per recarsi nella Babilonia urbana, dove gli uccellini non cinguettano – e d’altronde il Siegfried della Götterdämmerung ammette che da tempo non ha più «badato ai loro cinguettii» – l’eroe cade dritto nella trappola. La reggia dei Ghibicunghi, concentrato di impotenza e codardia, ipocrisia e falsa pietà, è un’immagine della società – puro aggregato di violenza e di egoismi mascherati da una facciata di rispettabilità – come può vederla un uomo che sta per mettersi a capo di una rivoluzione totale». Nel saggio di Zoppelli emerge il Wagner «uomo di teatro: radicato – per passione e per esperienza professionale – nella prassi del palcoscenico. Una prassi fondata sul bricolage, sulla capacità di sfruttare, volta per volta, ciò che si ha a disposizione – parole e suoni, tecniche e macchine, corpi d’attori e clichés melodrammaturgici – per far passare concretamente, negli occhi e nella mente di chi guarda, ciò che si vuol trasmettere». Anche Riccardo Pecci prosegue nell’impresa di curatore dell’edizione del libretto, nonché estensore della guida musicale all’ascolto, un compito particolarmente importante per un lavoro come il Ring, dove l’artefice scatena una fitta rete di motivi conduttori che percorrono l’intero ciclo, con l’intento, tra l’altro, di assicurare continuità al fluire della musica, come di tracciare una sorta di percorso semantico dal mondo mitico del Rheingold fino al mondo degli uomini, protagonisti, appunto, della Götterdämmerung. La traduzione del libretto prescelta è nuovamente quella realizzata da Guido Manacorda negli anni Trenta del secolo scorso, in preziosi volumetti che «per precisione, qualità letteraria e vastità dell’apparato esegetico hanno pochi termini di confronto anche fuori del nostro paese» (Maurizio Giani). Pecci introduce inoltre il lettore a un documento prezioso come il primo abbozzo del Ring, Der Nibelungen-Mythus, scritto da Wagner nel 1848, che qui si offre nella traduzione italiana di Francesco Gallia, anche come ricordo per lo studioso, troppo prematuramente scomparso. Scorrendo la prosa di Wagner fino alla fine, balzerà agli occhi, oltre a numerose differenze nell’articolazione del racconto, lo spazio preponderante che egli riservò all’ultima giornata del ciclo, e la sua conclusione, radicalmente differente rispetto a quella universalmente nota: qui Brünnhilde sorge spiritualmente dal rogo purificatore dove ha espiato la sua colpa, e scorta sul suo cavallo l’eroe, assunto in cielo.

Richard Wagner, «Götterdämmerung», «La Fenice prima dell’opera», 2009/5

GIRARDI, MICHELE
2009-01-01

Abstract

Götterdämmerung è il terzo appuntamento dei quattro programmati dal Teatro la Fenice per celebrare il Wagner del capolavoro irrinunciabile, Der Ring des Nibelungen, saga scenica in un prologo e tre giornate. Il crepuscolo degli dei approda oggi a Venezia come parte di una coproduzione del ciclo nata a Colonia nel 2004, di cui il pubblico della Fenice ha già apprezzato Die Walküre (2006) e Siegfried (2007), e che verrà poi chiusa dalla sua ‘vigilia’, come si definiva un tempo Das Rheingold. Il Ring veneziano del terzo millennio è firmato da Robert Carsen per la regia e Patrick Kinmonth per le scene e i costumi, vale a dire due fra gli artisti più in vista nel palcoscenici lirici di oggi, e si avvale di un musicista straordinario come Jeffrey Tate, concertatore e direttore sensibilissimo. Luca Zoppelli, che firma l’introduzione critica all’intero ciclo della Fenice, scrive qui il terzo capitolo della sua tetralogia, partendo, come gli è abituale, da un titolo significativo come L’eroe in trappola: «Il crepuscolo degli dei», perché «allontanatosi dalla natura per recarsi nella Babilonia urbana, dove gli uccellini non cinguettano – e d’altronde il Siegfried della Götterdämmerung ammette che da tempo non ha più «badato ai loro cinguettii» – l’eroe cade dritto nella trappola. La reggia dei Ghibicunghi, concentrato di impotenza e codardia, ipocrisia e falsa pietà, è un’immagine della società – puro aggregato di violenza e di egoismi mascherati da una facciata di rispettabilità – come può vederla un uomo che sta per mettersi a capo di una rivoluzione totale». Nel saggio di Zoppelli emerge il Wagner «uomo di teatro: radicato – per passione e per esperienza professionale – nella prassi del palcoscenico. Una prassi fondata sul bricolage, sulla capacità di sfruttare, volta per volta, ciò che si ha a disposizione – parole e suoni, tecniche e macchine, corpi d’attori e clichés melodrammaturgici – per far passare concretamente, negli occhi e nella mente di chi guarda, ciò che si vuol trasmettere». Anche Riccardo Pecci prosegue nell’impresa di curatore dell’edizione del libretto, nonché estensore della guida musicale all’ascolto, un compito particolarmente importante per un lavoro come il Ring, dove l’artefice scatena una fitta rete di motivi conduttori che percorrono l’intero ciclo, con l’intento, tra l’altro, di assicurare continuità al fluire della musica, come di tracciare una sorta di percorso semantico dal mondo mitico del Rheingold fino al mondo degli uomini, protagonisti, appunto, della Götterdämmerung. La traduzione del libretto prescelta è nuovamente quella realizzata da Guido Manacorda negli anni Trenta del secolo scorso, in preziosi volumetti che «per precisione, qualità letteraria e vastità dell’apparato esegetico hanno pochi termini di confronto anche fuori del nostro paese» (Maurizio Giani). Pecci introduce inoltre il lettore a un documento prezioso come il primo abbozzo del Ring, Der Nibelungen-Mythus, scritto da Wagner nel 1848, che qui si offre nella traduzione italiana di Francesco Gallia, anche come ricordo per lo studioso, troppo prematuramente scomparso. Scorrendo la prosa di Wagner fino alla fine, balzerà agli occhi, oltre a numerose differenze nell’articolazione del racconto, lo spazio preponderante che egli riservò all’ultima giornata del ciclo, e la sua conclusione, radicalmente differente rispetto a quella universalmente nota: qui Brünnhilde sorge spiritualmente dal rogo purificatore dove ha espiato la sua colpa, e scorta sul suo cavallo l’eroe, assunto in cielo.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/207447
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