Il Teatro La Fenice chiude la programmazione del 2009 in simmetria rispetto alla stagione precedente con un ulteriore dittico inedito: Cavalleria rusticana, unanimemente ritenuta capostipite del verismo, preceduta dalla première italiana della prima opera di Leos Janácek, Šárka, soggetto ‘epico’ nato nel seno della mitologia cèca. I due lavori, appartenenti a sfere estetiche differenti, sono accostabili poiché Cavalleria segue di due anni la prima stesura di Sárka (1888), frutto di un impulso creativo irresistibile provato da un compositore trentaquattrenne formatosi lontano dalle tavole dei palcoscenici, eppure nato per il teatro musicale. Non avendo ottenuto l’autorizzazione da Julius, autore del testo originale, Janácek accantonò la partitura, composta per intero (ma orchestrata solo per due terzi), per prenderla nuovamente in considerazione nel 1918, quando da due anni il suo talento era sotto gli occhi del mondo, dopo la prima a Praga di Jenufa (1916) e la conferma venuta dalla ripresa viennese in quello stesso anno, nella versione tedesca di Max Brod. In questo volume presentiamo la prima traduzione italiana dal cèco del libretto, che il curatore Emanuele Bonomi desume dall’edizione critica della partitura e ‘ricostruisce’ metricamente valendosi della fonte (la pièce di Zeyer) pubblicata nel 1887. La scelta è obbligata, dato che nel 1919 «le linee vocali furono largamente riscritte e, con l’aiuto dei due poeti Frantisek Procházka e Ota Zítek, vennero aggiunti i versi delle sezioni musicali rimaste prive di testo», spiega Bonomi. Nel saggio iniziale Franco Pulcini, tra i massimi studiosi del teatro di Janácek, richiama la nostra attenzione sul fatto che «nel 1924, un anno prima della prima tardiva rappresentazione di Sárka nel 1925 […], il musicista scrisse: “La mia Sárka? Tutto in essa è vicino ai miei ultimi lavori. [Ne è] l’ouverture appassionata”». Nella seconda parte del dittico si passa da una prima italiana alla riproposta di uno dei lavori più eseguiti di tutta la storia del melodramma, fin dalla sera della première nel 1890, che «probabilmente fu il più grande successo tributato a un’opera che la storia della ricezione ricordi, trasformando istantaneamente il livornese Mascagni da oscuro compositore di provincia a celebrità, quasi il vate destinato a rinnovare i fasti della tradizione operistica italiana». Ce lo rammenta, nel saggio Questioni di Cavalleria, Aldo Salvagno, il quale ricapitola gli elementi che rendono il capolavoro di Mascagni primus inter pares fra una serie di altri titoli ben definiti da Stefano Scardovi come ‘melodrammi plebei’, nonché primus tout court di un manipolo di altre opere tratte dalla pièce di Verga in nome della ‘libera concorrenza’. Tra le ragioni di questo successo clamoroso campeggia la continuità con la tradizione del teatro musicale italiano precedente, e la ripresa di elementi che forniscono i presupposti di ogni dramma. «L’azione ineluttabilmente tragica», nota Agostino Ruscillo nella guida all’ascolto, «permeata dalle opposizioni simboliche del sacro e del profano, e i sentimenti umani così descritti, con le contrapposizioni amore-passione e gelosia-vendetta, si ergono all’altezza di archetipi tragici e consegnano Cavalleria rusticana a modello per melodrammi seriori dove, insieme all’elemento religioso, non mancherà la celebrazione del culto dell’amore e della morte».

Leos Janácek, «Sárka»-Pietro Mascagni, «Cavalleria rusticana, 2009/7

GIRARDI, MICHELE
2009-01-01

Abstract

Il Teatro La Fenice chiude la programmazione del 2009 in simmetria rispetto alla stagione precedente con un ulteriore dittico inedito: Cavalleria rusticana, unanimemente ritenuta capostipite del verismo, preceduta dalla première italiana della prima opera di Leos Janácek, Šárka, soggetto ‘epico’ nato nel seno della mitologia cèca. I due lavori, appartenenti a sfere estetiche differenti, sono accostabili poiché Cavalleria segue di due anni la prima stesura di Sárka (1888), frutto di un impulso creativo irresistibile provato da un compositore trentaquattrenne formatosi lontano dalle tavole dei palcoscenici, eppure nato per il teatro musicale. Non avendo ottenuto l’autorizzazione da Julius, autore del testo originale, Janácek accantonò la partitura, composta per intero (ma orchestrata solo per due terzi), per prenderla nuovamente in considerazione nel 1918, quando da due anni il suo talento era sotto gli occhi del mondo, dopo la prima a Praga di Jenufa (1916) e la conferma venuta dalla ripresa viennese in quello stesso anno, nella versione tedesca di Max Brod. In questo volume presentiamo la prima traduzione italiana dal cèco del libretto, che il curatore Emanuele Bonomi desume dall’edizione critica della partitura e ‘ricostruisce’ metricamente valendosi della fonte (la pièce di Zeyer) pubblicata nel 1887. La scelta è obbligata, dato che nel 1919 «le linee vocali furono largamente riscritte e, con l’aiuto dei due poeti Frantisek Procházka e Ota Zítek, vennero aggiunti i versi delle sezioni musicali rimaste prive di testo», spiega Bonomi. Nel saggio iniziale Franco Pulcini, tra i massimi studiosi del teatro di Janácek, richiama la nostra attenzione sul fatto che «nel 1924, un anno prima della prima tardiva rappresentazione di Sárka nel 1925 […], il musicista scrisse: “La mia Sárka? Tutto in essa è vicino ai miei ultimi lavori. [Ne è] l’ouverture appassionata”». Nella seconda parte del dittico si passa da una prima italiana alla riproposta di uno dei lavori più eseguiti di tutta la storia del melodramma, fin dalla sera della première nel 1890, che «probabilmente fu il più grande successo tributato a un’opera che la storia della ricezione ricordi, trasformando istantaneamente il livornese Mascagni da oscuro compositore di provincia a celebrità, quasi il vate destinato a rinnovare i fasti della tradizione operistica italiana». Ce lo rammenta, nel saggio Questioni di Cavalleria, Aldo Salvagno, il quale ricapitola gli elementi che rendono il capolavoro di Mascagni primus inter pares fra una serie di altri titoli ben definiti da Stefano Scardovi come ‘melodrammi plebei’, nonché primus tout court di un manipolo di altre opere tratte dalla pièce di Verga in nome della ‘libera concorrenza’. Tra le ragioni di questo successo clamoroso campeggia la continuità con la tradizione del teatro musicale italiano precedente, e la ripresa di elementi che forniscono i presupposti di ogni dramma. «L’azione ineluttabilmente tragica», nota Agostino Ruscillo nella guida all’ascolto, «permeata dalle opposizioni simboliche del sacro e del profano, e i sentimenti umani così descritti, con le contrapposizioni amore-passione e gelosia-vendetta, si ergono all’altezza di archetipi tragici e consegnano Cavalleria rusticana a modello per melodrammi seriori dove, insieme all’elemento religioso, non mancherà la celebrazione del culto dell’amore e della morte».
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/207716
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