Quando le fiamme dell’inferno hanno adempiuto al loro scopo, punendo il libertino per il delitto commesso all’inizio dell’opera (che simboleggia la sua vita dissoluta), un’umanità segnata dalla sua azione incessante si ritrova senza la motivazione della propria esistenza, e se i personaggi nobili dichiarano il fallimento della loro stessa realtà – temporaneo forse per Donna Anna e Don Ottavio (non si celebrerà il loro matrimonio), certo definitivo per Donna Elvira (sedotta, riparerà in un convento) –, quelli popolari, da Masetto e Zerlina al servo devoto Leporello, potranno ancora credere in un futuro migliore. Su questa conclusione si gioca una partita importante fra i due generi che si contendono la trama del Don Giovanni, il serio e il buffo. Il problema viene discusso con finezza da Giovanna Gronda nel secondo saggio di questo volume, già apparso nel volume che accompagnava le recite dell’opera al PalaFenice nel 1996, dopo il rogo della sala di campo San Fantin, e che ripubblichiamo in queste pagine per rendere omaggio all’insigne italianista nel decennale della sua prematura scomparsa. In poche pagine la studiosa illustra con esemplare chiarezza le vicende esecutive che congiungono la prima assoluta di Praga (1787) alla ripresa viennese (1788), che, oltre all’aggiunta e sostituzione di numeri musicali (e si veda, a questo proposito, anche la corposa guida all’opera di Marco Gurrieri), implicava proprio la rinuncia a questo finale, in nome delle ragioni del ‘tragico’. Ho discusso di aspetti di messinscena con Damiano Michieletto, giovane regista veneziano di questa produzione, e fine analista della drammaturgia dell’opera (come si potrà constatare leggendo l’intervista che mi ha concesso). In particolare la difesa delle ragioni drammatiche del finale di Praga, pagina per lui irrinunciabile nell’economia del dramma (come per noi, usciti indenni dalle temperie romantiche), mi sembra degna di ogni considerazione. Apre il volume un saggio importante, scritto espressamente da David Rosen, uno dei massimi protagonisti dell’odierna musicologia internazionale. Rosen intraprende un viaggio affascinante nella drammaturgia di Don Giovanni, e riflettendo sulla questione dei generi in generale, tocca alcuni momenti chiave della vicenda, a partire dalla matrice veneziana e ‘goldoniana’ del genere definito come «dramma giocoso» e dal libretto che sta alla base del capolavoro di Mozart e Da Ponte (scritto da Bertati per Gazzaniga), per mettere a fuoco alcuni momenti capitali della drammaturgia, come i tratti ‘camaleontici’ che permettono al libertino di galleggiare sui nodi della vicenda, assumendo con leggerezza l’aspetto che più gli permette di conseguire i suoi scopi (si pensi a quando indossa i panni del servo, a puro scopo di seduzione). Rosen si impegna poi, con inestimabile finezza ermeneutica, in una «difesa di Donna Anna», ruolo sul quale si sono accaniti tanti esegeti, e sui problemi di verosimiglianza imposti proprio dal monumento innalzato al Commendatore, ricorrendo, in questo come nell’altro caso, al libretto di Bertati. Il viaggio saggistico si conclude a Venezia, dov’era iniziato, inquadrando un caso esemplare nella ricezione di Don Giovanni.
Wolfgang Amadeus Mozart, «Don Giovanni, «La Fenice prima dell’opera», 2010/3
GIRARDI, MICHELE
2010-01-01
Abstract
Quando le fiamme dell’inferno hanno adempiuto al loro scopo, punendo il libertino per il delitto commesso all’inizio dell’opera (che simboleggia la sua vita dissoluta), un’umanità segnata dalla sua azione incessante si ritrova senza la motivazione della propria esistenza, e se i personaggi nobili dichiarano il fallimento della loro stessa realtà – temporaneo forse per Donna Anna e Don Ottavio (non si celebrerà il loro matrimonio), certo definitivo per Donna Elvira (sedotta, riparerà in un convento) –, quelli popolari, da Masetto e Zerlina al servo devoto Leporello, potranno ancora credere in un futuro migliore. Su questa conclusione si gioca una partita importante fra i due generi che si contendono la trama del Don Giovanni, il serio e il buffo. Il problema viene discusso con finezza da Giovanna Gronda nel secondo saggio di questo volume, già apparso nel volume che accompagnava le recite dell’opera al PalaFenice nel 1996, dopo il rogo della sala di campo San Fantin, e che ripubblichiamo in queste pagine per rendere omaggio all’insigne italianista nel decennale della sua prematura scomparsa. In poche pagine la studiosa illustra con esemplare chiarezza le vicende esecutive che congiungono la prima assoluta di Praga (1787) alla ripresa viennese (1788), che, oltre all’aggiunta e sostituzione di numeri musicali (e si veda, a questo proposito, anche la corposa guida all’opera di Marco Gurrieri), implicava proprio la rinuncia a questo finale, in nome delle ragioni del ‘tragico’. Ho discusso di aspetti di messinscena con Damiano Michieletto, giovane regista veneziano di questa produzione, e fine analista della drammaturgia dell’opera (come si potrà constatare leggendo l’intervista che mi ha concesso). In particolare la difesa delle ragioni drammatiche del finale di Praga, pagina per lui irrinunciabile nell’economia del dramma (come per noi, usciti indenni dalle temperie romantiche), mi sembra degna di ogni considerazione. Apre il volume un saggio importante, scritto espressamente da David Rosen, uno dei massimi protagonisti dell’odierna musicologia internazionale. Rosen intraprende un viaggio affascinante nella drammaturgia di Don Giovanni, e riflettendo sulla questione dei generi in generale, tocca alcuni momenti chiave della vicenda, a partire dalla matrice veneziana e ‘goldoniana’ del genere definito come «dramma giocoso» e dal libretto che sta alla base del capolavoro di Mozart e Da Ponte (scritto da Bertati per Gazzaniga), per mettere a fuoco alcuni momenti capitali della drammaturgia, come i tratti ‘camaleontici’ che permettono al libertino di galleggiare sui nodi della vicenda, assumendo con leggerezza l’aspetto che più gli permette di conseguire i suoi scopi (si pensi a quando indossa i panni del servo, a puro scopo di seduzione). Rosen si impegna poi, con inestimabile finezza ermeneutica, in una «difesa di Donna Anna», ruolo sul quale si sono accaniti tanti esegeti, e sui problemi di verosimiglianza imposti proprio dal monumento innalzato al Commendatore, ricorrendo, in questo come nell’altro caso, al libretto di Bertati. Il viaggio saggistico si conclude a Venezia, dov’era iniziato, inquadrando un caso esemplare nella ricezione di Don Giovanni.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.