Apre questo volume della «Fenice prima dell’opera» un saggio di Michael Talbot, specialista tra i più insigni di Vivaldi, pioniere della riscoperta dei suoi lavori. Lo studioso constata che molto è cambiato dai tardi anni Settanta, quando i titoli conosciuti del Prete rosso ammontavano a tre in tutto; ai tempi attuali «Vivaldi si è affiancato a Monteverdi e Händel in quel circolo molto esclusivo dei compositori d’opera seria anteriori al 1750 dei quali, anno dopo anno, è lecito attendersi la regolare ricomparsa sui palcoscenici professionali di tutto il mondo». Talbot prosegue esaminando la biografia del musicista in relazione alla carriera teatrale anche nel ruolo di impresario, e offrendo al lettore una nutrita messe di spunti critici per comprendere la sua posizione nel sistema produttivo dell’epoca. Dell’Ercole sul Termodonte si occupa Dinko Fabris in un saggio denso e esaustivo, che inizia col chiarire il contesto mitico, mettendolo in relazione con l’ambiente della Roma papalina, dove la figura di Ercole era estremamente presente. Risultano di particolare rilievo, oltre alle considerazioni sulla drammaturgia musicale, la disamina critica dell’interesse per il soggetto nel teatro musicale, specie se posto in relazione con la nutrita presenza della amazzoni, mitiche viragines mutilate di un seno per poter tirar meglio d’arco, secondo gli storici. Se tale amputazione poteva suggerire «la loro identificazione con le vergini e martiri cristiane», essa faceva il paio con quella reale dei cantanti impegnati nell’opera di Vivaldi che, all’uso romano, erano tutti di sesso maschile, benché «evirati cantori». Svestiti i panni dell’iconografo, Luigi Ferrara rende conto in una breve nota delle ottime ragioni per togliere la tradizionale attribuzione del libretto a Giacomo Antonio Bussani, per passarla a Antonio Salvi, autore delle Amazoni vinte da Ercole, libretto rimaneggiato a Roma e ivi intitolato a Ercole. Resta il problema del titolo. «Nella città papale», secondo Fabris, «un titolo del genere non poteva essere assolutamente proposto. Qualcuno allora (Capranica con l’assistenza di Pietro Aldobrandini o dell’Ottoboni?) pensò bene di mutare il titolo dell’opera, eliminando del tutto l’accenno alle amazzoni […] e sottolineando invece il ruolo di Ercole, nonostante nel libretto egli non risulti affatto il protagonista assoluto». In un saggio ricco di informazioni, elargite con lo spirito e l’ironia che gli sono propri, Carlo Vitali tratta per filoni tematici della seconda opera in programma, Bajazet, dedicando molte osservazioni al cast della prima e al genere cui appartiene, quello del ‘pasticcio’. Bajazet viene collocata nel contesto sociale e produttivo del suo tempo, dove il turco, vera e propria ossessione della civiltà ‘occidentale’, è oramai «uno spauracchio che dopo la pace di Passarowitz non fa più veramente paura a nessuno». Così «al barbaro turco Bajazet, sadicamente brutalizzato dalla superbarbarie del mongolo Tamerlano, finiscono per andare le simpatie dello spettatore, inaugurando un filone che culminerà entro un secolo con le figure – talora magnanime, talaltra francamente ridicole, ma sempre venate di patetico in quanto perdenti designati – del mozartiano Selim o dei due pascià rossiniani. Di questa potenziale ambivalenza emotiva verso i due protagonisti testimonia l’oscillazione del titolo: Bajazet nella partitura manoscritta, Il Tamerlano nel libretto a stampa». Non si stupisca quindi il lettore se troverà quest’ultima lezione nella trascrizione diplomatica del frontespizio del libretto, mentre la scelta di Vivaldi fa pensare che egli ritenesse Bajazet l’autentico protagonista del dramma, e dunque eroe eponimo.

Antonio Vivaldi, «Ercole sul Termodonte»-«Bajazet», «La Fenice prima dell'opera», 2007/6

GIRARDI, MICHELE
2007-01-01

Abstract

Apre questo volume della «Fenice prima dell’opera» un saggio di Michael Talbot, specialista tra i più insigni di Vivaldi, pioniere della riscoperta dei suoi lavori. Lo studioso constata che molto è cambiato dai tardi anni Settanta, quando i titoli conosciuti del Prete rosso ammontavano a tre in tutto; ai tempi attuali «Vivaldi si è affiancato a Monteverdi e Händel in quel circolo molto esclusivo dei compositori d’opera seria anteriori al 1750 dei quali, anno dopo anno, è lecito attendersi la regolare ricomparsa sui palcoscenici professionali di tutto il mondo». Talbot prosegue esaminando la biografia del musicista in relazione alla carriera teatrale anche nel ruolo di impresario, e offrendo al lettore una nutrita messe di spunti critici per comprendere la sua posizione nel sistema produttivo dell’epoca. Dell’Ercole sul Termodonte si occupa Dinko Fabris in un saggio denso e esaustivo, che inizia col chiarire il contesto mitico, mettendolo in relazione con l’ambiente della Roma papalina, dove la figura di Ercole era estremamente presente. Risultano di particolare rilievo, oltre alle considerazioni sulla drammaturgia musicale, la disamina critica dell’interesse per il soggetto nel teatro musicale, specie se posto in relazione con la nutrita presenza della amazzoni, mitiche viragines mutilate di un seno per poter tirar meglio d’arco, secondo gli storici. Se tale amputazione poteva suggerire «la loro identificazione con le vergini e martiri cristiane», essa faceva il paio con quella reale dei cantanti impegnati nell’opera di Vivaldi che, all’uso romano, erano tutti di sesso maschile, benché «evirati cantori». Svestiti i panni dell’iconografo, Luigi Ferrara rende conto in una breve nota delle ottime ragioni per togliere la tradizionale attribuzione del libretto a Giacomo Antonio Bussani, per passarla a Antonio Salvi, autore delle Amazoni vinte da Ercole, libretto rimaneggiato a Roma e ivi intitolato a Ercole. Resta il problema del titolo. «Nella città papale», secondo Fabris, «un titolo del genere non poteva essere assolutamente proposto. Qualcuno allora (Capranica con l’assistenza di Pietro Aldobrandini o dell’Ottoboni?) pensò bene di mutare il titolo dell’opera, eliminando del tutto l’accenno alle amazzoni […] e sottolineando invece il ruolo di Ercole, nonostante nel libretto egli non risulti affatto il protagonista assoluto». In un saggio ricco di informazioni, elargite con lo spirito e l’ironia che gli sono propri, Carlo Vitali tratta per filoni tematici della seconda opera in programma, Bajazet, dedicando molte osservazioni al cast della prima e al genere cui appartiene, quello del ‘pasticcio’. Bajazet viene collocata nel contesto sociale e produttivo del suo tempo, dove il turco, vera e propria ossessione della civiltà ‘occidentale’, è oramai «uno spauracchio che dopo la pace di Passarowitz non fa più veramente paura a nessuno». Così «al barbaro turco Bajazet, sadicamente brutalizzato dalla superbarbarie del mongolo Tamerlano, finiscono per andare le simpatie dello spettatore, inaugurando un filone che culminerà entro un secolo con le figure – talora magnanime, talaltra francamente ridicole, ma sempre venate di patetico in quanto perdenti designati – del mozartiano Selim o dei due pascià rossiniani. Di questa potenziale ambivalenza emotiva verso i due protagonisti testimonia l’oscillazione del titolo: Bajazet nella partitura manoscritta, Il Tamerlano nel libretto a stampa». Non si stupisca quindi il lettore se troverà quest’ultima lezione nella trascrizione diplomatica del frontespizio del libretto, mentre la scelta di Vivaldi fa pensare che egli ritenesse Bajazet l’autentico protagonista del dramma, e dunque eroe eponimo.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/34227
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