Gli studiosi tendono ancor oggi a differenziare nettamente gli opposti fronti storico-estetici della ‘prima pratica’ e della ‘seconda pratica’ in base al grado di ‘espressività’ raggiunto dalla musica, alla sua capacità di ‘imitare’ e ‘rappresentare’ i contenuti del testo poetico: per gli ‘antichi’ contrappuntisti quattro-cinquecenteschi il testo verbale sarebbe solo un pretesto per la composizione a più voci; per i ‘moderni’ polifonisti e monodisti di fine Cinquecento e inizio Seicento, invece, ogni scelta compositiva sarebbe generata in primis dai contenuti poetici. Questo rigido schema evolutivo viene a cadere nel momento in cui si prende atto della convivenza di entrambi gli approcci (‘orazione serva dell’armonia’ vs. ‘armonia serva dell’orazione’) tanto nella prima quanto nella seconda ‘fase storica’. Quel che muta, in realtà, non è tanto il grado di espressività delle rispettive intonazioni, quanto semmai la natura dei contenuti poetico-affettivi, il cui mutare, a sua volta, impone scelte compositive diverse da quelle tradizionali. Nella prima fase intonazioni per lo più consonanti e tonalmente coerenti ben si adattano a testi poetici di struttura e contenuti omogenei; nella seconda fase, viceversa, le scelte poetiche dei musicisti tendono a concentrarsi su testi di contenuto fortemente contrastivo, che a loro volta impongono soluzioni compositive solo apparentemente ‘licenziose’-- soprattutto un uso sempre più libero di dissonanze, cromatismo, commistione modale—tali da ‘perturbare’ l’ordine di partenza e generare ‘confusione’. Tali, insomma, da infastidire l’orecchio e la sensibilità dei critici letterari e teorici musicali più ortodossi e conservatori: non ultimo, il canonico Giovanni Maria Artusi, il più intransigente e accanito oppositore della seconda pratica monteverdiana. Ciò che è realmente ‘trasgressivo’ non è però la soluzione tecnica in sé quanto il suo specifico uso a fini espressivi: un uso che, sul piano estetico, riflette la crescente affermazione del modello aristotelico (basato su principi drammatico-contrastivi quali ‘metabasi’ e ‘peripezia’) a discapito di quelli pitagorico e platonico (più legati a principi classici di ordine, proporzione, simmetria). L’ansia di tradurre in musica i contrasti, le ‘mutazioni affettive’, le ‘passioni contrarie’ di poeti quali Tasso o Guarini—entrambi profondi conoscitori e studiosi della Poetica—anima anzitutto i madrigalisti della seconda pratica, da Cipriano de Rore a Monteverdi. Ma sono proprio i loro più avanzati esperimenti polifonici a spianare il campo alla nascita stessa del ‘dramma per musica’ moderno, e in particolare a quelle forme di opera più di altre improntate sul modello aristotelico della ‘favola tragica complessa’. Il presente studio interdisciplinare si propone di ricostruire le fasi principali di questa delicata transizione storica, sottolineandone più gli elementi di continuità che di frattura. Fra i vari ‘fili rossi’ che contribuiscono a connettere una fase all’altra emergono, in particolare: (1) la tradizione letteraria del petrarchismo, al cui modello poetico-stilistico continuano a guardare anche le avanguardie tassiane e guariniane; (2) la riscoperta cinque-seicentesca della Poetica di Aristotele, alla quale contribuiscono anche gli stessi Tasso e Guarini, i cui princìpi cominciano a penetrare non solo nella sfera critico-letteraria ed accademica ma anche in quella teorico-musicale e pratico-compositiva; (3) i mezzi linguistici ed espressivi forgiati nel laboratorio sperimentale del madrigale polifonico, che monodisti ed operisti seicenteschi—a partire dallo stesso Monteverdi—si guardano bene dall’accantonare, riconoscendoli semmai come imprescindibile punto di partenza dei loro stili ‘rappresentativo’ e ‘teatrale’. Quanto mai emblematiche, in tal senso, sono le rispettive intonazioni monteverdiane di Cruda Amarilli / O Mirtillo (dal Pastor Fido di Battista Guarini), del Combattimento di Tancredi e Clorinda (dalla Gerusalemme liberata del Tasso) e della Favola di Orfeo (libretto di Alessandro Striggio), qui sottoposte a una complessiva analisi poetico-musicale e drammaturgica.

L'espressione dei contrasti fra madrigale ed opera

LA VIA, STEFANO
2007-01-01

Abstract

Gli studiosi tendono ancor oggi a differenziare nettamente gli opposti fronti storico-estetici della ‘prima pratica’ e della ‘seconda pratica’ in base al grado di ‘espressività’ raggiunto dalla musica, alla sua capacità di ‘imitare’ e ‘rappresentare’ i contenuti del testo poetico: per gli ‘antichi’ contrappuntisti quattro-cinquecenteschi il testo verbale sarebbe solo un pretesto per la composizione a più voci; per i ‘moderni’ polifonisti e monodisti di fine Cinquecento e inizio Seicento, invece, ogni scelta compositiva sarebbe generata in primis dai contenuti poetici. Questo rigido schema evolutivo viene a cadere nel momento in cui si prende atto della convivenza di entrambi gli approcci (‘orazione serva dell’armonia’ vs. ‘armonia serva dell’orazione’) tanto nella prima quanto nella seconda ‘fase storica’. Quel che muta, in realtà, non è tanto il grado di espressività delle rispettive intonazioni, quanto semmai la natura dei contenuti poetico-affettivi, il cui mutare, a sua volta, impone scelte compositive diverse da quelle tradizionali. Nella prima fase intonazioni per lo più consonanti e tonalmente coerenti ben si adattano a testi poetici di struttura e contenuti omogenei; nella seconda fase, viceversa, le scelte poetiche dei musicisti tendono a concentrarsi su testi di contenuto fortemente contrastivo, che a loro volta impongono soluzioni compositive solo apparentemente ‘licenziose’-- soprattutto un uso sempre più libero di dissonanze, cromatismo, commistione modale—tali da ‘perturbare’ l’ordine di partenza e generare ‘confusione’. Tali, insomma, da infastidire l’orecchio e la sensibilità dei critici letterari e teorici musicali più ortodossi e conservatori: non ultimo, il canonico Giovanni Maria Artusi, il più intransigente e accanito oppositore della seconda pratica monteverdiana. Ciò che è realmente ‘trasgressivo’ non è però la soluzione tecnica in sé quanto il suo specifico uso a fini espressivi: un uso che, sul piano estetico, riflette la crescente affermazione del modello aristotelico (basato su principi drammatico-contrastivi quali ‘metabasi’ e ‘peripezia’) a discapito di quelli pitagorico e platonico (più legati a principi classici di ordine, proporzione, simmetria). L’ansia di tradurre in musica i contrasti, le ‘mutazioni affettive’, le ‘passioni contrarie’ di poeti quali Tasso o Guarini—entrambi profondi conoscitori e studiosi della Poetica—anima anzitutto i madrigalisti della seconda pratica, da Cipriano de Rore a Monteverdi. Ma sono proprio i loro più avanzati esperimenti polifonici a spianare il campo alla nascita stessa del ‘dramma per musica’ moderno, e in particolare a quelle forme di opera più di altre improntate sul modello aristotelico della ‘favola tragica complessa’. Il presente studio interdisciplinare si propone di ricostruire le fasi principali di questa delicata transizione storica, sottolineandone più gli elementi di continuità che di frattura. Fra i vari ‘fili rossi’ che contribuiscono a connettere una fase all’altra emergono, in particolare: (1) la tradizione letteraria del petrarchismo, al cui modello poetico-stilistico continuano a guardare anche le avanguardie tassiane e guariniane; (2) la riscoperta cinque-seicentesca della Poetica di Aristotele, alla quale contribuiscono anche gli stessi Tasso e Guarini, i cui princìpi cominciano a penetrare non solo nella sfera critico-letteraria ed accademica ma anche in quella teorico-musicale e pratico-compositiva; (3) i mezzi linguistici ed espressivi forgiati nel laboratorio sperimentale del madrigale polifonico, che monodisti ed operisti seicenteschi—a partire dallo stesso Monteverdi—si guardano bene dall’accantonare, riconoscendoli semmai come imprescindibile punto di partenza dei loro stili ‘rappresentativo’ e ‘teatrale’. Quanto mai emblematiche, in tal senso, sono le rispettive intonazioni monteverdiane di Cruda Amarilli / O Mirtillo (dal Pastor Fido di Battista Guarini), del Combattimento di Tancredi e Clorinda (dalla Gerusalemme liberata del Tasso) e della Favola di Orfeo (libretto di Alessandro Striggio), qui sottoposte a una complessiva analisi poetico-musicale e drammaturgica.
2007
9788843040049
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/121175
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