Nel canone degli autori che Lorenzo Valla adottò come modelli di Latinitas e di elegantia, nel senso di esattezza lessicale sono compresi anche i giuristi romani. Quest’inclusione testimonia l’alto apprezzamento per le loro opere e, per contrasto, mette in risalto la scarsa attenzione che la prosa giuridica attualmente riceve negli studi sulla storia della letteratura latina. La ricerca esamina il proemio al terzo libro delle Elegantiae linguae latinae del Valla (composto fra il 1443 e il 1449) per individuare analiticamente i criteri su cui il Valla fondò il suo elogio delle opere dei giuristi romani, sotto il profilo dell'esattezza della lingua, dello stile, e dei contenuti argomentativi. In particolare, la ricerca mette in luce i rapporti del testo quattrocentesco con idee e espressioni antiche - in particolare la dipendenza dal De oratore di Cicerone e da Quintiliano - come è lecito attendersi da una pagina composta secondo il canone dell’imitazione che presiede alla scrittura umanistica. Si conclude che Valla trovava già approntato nei suoi auctores, il nucleo del III proemio, cioè il concetto di elegantia e il correlativo impegno dei giuristi romani nel rispettare la verborum proprietas (in particolare, il giudizio di elegantia, cioè di correttezza sintattica e lessicale, è attinto dal Brutus, ove è riferito da Cicerone alla prosa di Servio Sulpicio Rufo, che vale per Valla come figura paradigmatica di giurista). L’elogio contenuto nella prefazione al III libro delle Elegantiae – e il quadro ideologico in cui si situa e di cui rappresenta quasi una sintesi - testimonia perciò un frangente nel quale la prosa giuridica viene inserita nel circuito della cultura generale, e le si riconoscono valori formali che trascendono i contenuti tecnico-giuridici. Benché questa valorizzazione sia allettante e non abbia certo perso attualità, l'analisi svolta nella presente ricerca ne indica tuttavia i limiti intrinseci, ossia la sua almeno parziale convenzionalità, in quanto assemblaggio di giudizi già disponibili nelle fonti romane. Questo risultato permette di meglio valutare la (limitata) incidenza del giudizio di Valla (pur notissimo) nella cultura successiva, e la limitata attenzione che viene prestata alle opere dei giuristi romani sotto il profilo letterario. Vengono perciò esaminate i riferimenti all’elogio di Valla reperiti in Budé, Alciato, Leibniz, Ducker, Vico, Hugo e Norden. La ricerca si chiude con un quadro delle ricerche sulla lingua dei giuristi romani.

L’elogio dei giuristi romani nel proemio al III libro delle Elegantiae di Lorenzo Valla. “Per quotidianam lectionem Digestorum semper incolumis et in honore fuit lingua Romana”.

MANTOVANI, DARIO GIUSEPPE
2007-01-01

Abstract

Nel canone degli autori che Lorenzo Valla adottò come modelli di Latinitas e di elegantia, nel senso di esattezza lessicale sono compresi anche i giuristi romani. Quest’inclusione testimonia l’alto apprezzamento per le loro opere e, per contrasto, mette in risalto la scarsa attenzione che la prosa giuridica attualmente riceve negli studi sulla storia della letteratura latina. La ricerca esamina il proemio al terzo libro delle Elegantiae linguae latinae del Valla (composto fra il 1443 e il 1449) per individuare analiticamente i criteri su cui il Valla fondò il suo elogio delle opere dei giuristi romani, sotto il profilo dell'esattezza della lingua, dello stile, e dei contenuti argomentativi. In particolare, la ricerca mette in luce i rapporti del testo quattrocentesco con idee e espressioni antiche - in particolare la dipendenza dal De oratore di Cicerone e da Quintiliano - come è lecito attendersi da una pagina composta secondo il canone dell’imitazione che presiede alla scrittura umanistica. Si conclude che Valla trovava già approntato nei suoi auctores, il nucleo del III proemio, cioè il concetto di elegantia e il correlativo impegno dei giuristi romani nel rispettare la verborum proprietas (in particolare, il giudizio di elegantia, cioè di correttezza sintattica e lessicale, è attinto dal Brutus, ove è riferito da Cicerone alla prosa di Servio Sulpicio Rufo, che vale per Valla come figura paradigmatica di giurista). L’elogio contenuto nella prefazione al III libro delle Elegantiae – e il quadro ideologico in cui si situa e di cui rappresenta quasi una sintesi - testimonia perciò un frangente nel quale la prosa giuridica viene inserita nel circuito della cultura generale, e le si riconoscono valori formali che trascendono i contenuti tecnico-giuridici. Benché questa valorizzazione sia allettante e non abbia certo perso attualità, l'analisi svolta nella presente ricerca ne indica tuttavia i limiti intrinseci, ossia la sua almeno parziale convenzionalità, in quanto assemblaggio di giudizi già disponibili nelle fonti romane. Questo risultato permette di meglio valutare la (limitata) incidenza del giudizio di Valla (pur notissimo) nella cultura successiva, e la limitata attenzione che viene prestata alle opere dei giuristi romani sotto il profilo letterario. Vengono perciò esaminate i riferimenti all’elogio di Valla reperiti in Budé, Alciato, Leibniz, Ducker, Vico, Hugo e Norden. La ricerca si chiude con un quadro delle ricerche sulla lingua dei giuristi romani.
2007
8814135126
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