La tragedia della contaminazione da amianto di Casale Monferrato, dovuta all’attività dello stabilimento Eternit chiuso nel 1986, non è ancora finita: il picco delle morti per mesotelioma pleurico – a fronte di oltre 1300 decessi finora accertati – è atteso tra il 2020 e il 2025. Dalla fine degli anni Settanta la cittadina è stata protagonista di una mobilitazione innescata dal sindacato territoriale, capace di “uscire dalla fabbrica” e di rivolgersi all’intera comunità, superando le tradizionali coordinate culturali delle organizzazioni dei lavoratori incentrate fino ad allora, con poche eccezioni, sulla difesa dei posti di lavoro e sulla “monetizzazione del rischio”. Ma è stato soprattutto attraverso le narrazioni femminili, costruite e veicolate da persone come Romana Blasotti Pavesi – dal 1988 al 2015 presidente dell’associazione delle vittime – e da altre donne attive nella scuola, nel giornalismo, nella professione medica, che il dramma dell’amianto si è integrato nell’identità comunitaria, fino a diventare un elemento unificante e ad amalgamare all’interno della città un sentimento comune del dolore e dell’impegno in difesa della salute e dell’ambiente.

Romana e le altre. La narrazione femminile dell'amianto a Casale Monferrato.

ZIGLIOLI BRUNO
2018-01-01

Abstract

La tragedia della contaminazione da amianto di Casale Monferrato, dovuta all’attività dello stabilimento Eternit chiuso nel 1986, non è ancora finita: il picco delle morti per mesotelioma pleurico – a fronte di oltre 1300 decessi finora accertati – è atteso tra il 2020 e il 2025. Dalla fine degli anni Settanta la cittadina è stata protagonista di una mobilitazione innescata dal sindacato territoriale, capace di “uscire dalla fabbrica” e di rivolgersi all’intera comunità, superando le tradizionali coordinate culturali delle organizzazioni dei lavoratori incentrate fino ad allora, con poche eccezioni, sulla difesa dei posti di lavoro e sulla “monetizzazione del rischio”. Ma è stato soprattutto attraverso le narrazioni femminili, costruite e veicolate da persone come Romana Blasotti Pavesi – dal 1988 al 2015 presidente dell’associazione delle vittime – e da altre donne attive nella scuola, nel giornalismo, nella professione medica, che il dramma dell’amianto si è integrato nell’identità comunitaria, fino a diventare un elemento unificante e ad amalgamare all’interno della città un sentimento comune del dolore e dell’impegno in difesa della salute e dell’ambiente.
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