La giurisprudenza comunitaria ha sempre ricoperto un ruolo importante nella definizione del concetto di famiglia nello spazio europeo, pur in assenza di una competenza specifica della Comunità a regolare gli aspetti di diritto sostanziale in tale ambito. L’atteggiamento adottato dai giudici di Lussemburgo nel corso degli anni ha avuto come punto di partenza un modello tradizionale: la Corte e il Tribunale si sono costantemente riferiti al modello della famiglia fondata sul matrimonio di persone di sesso opposto, composta dal soggetto che esercita la libertà di circolazione, identificato quasi esclusivamente con la figura del padre lavoratore (male breadwinner) che mantiene finanziariamente la moglie (primary carer) e i figli, completamente dipendenti dal primo per l’esercizio dei diritti (di soggiornare, di esercitare un’attività lavorativa, e di istruirsi) ricollegati per molti anni esclusivamente allo status di coniuge o familiare (a carico). In effetti, solo di recente l’atteggiamento assunto nei confronti dei soggetti a carico è mutato, anche se non tanto sotto il profilo dell’apertura a nuovi modelli familiari non fondati sul matrimonio civile, quanto piuttosto nel senso del riconoscimento di status autonomi a favore dei dependent considerati uti singuli, quali cittadini dell’Unione, oltre che membri di una famiglia. L’analisi della giurisprudenza elaborata intorno alle nozioni di famiglia è svolta presentando al contempo il metodo di interpretazione proposto caso per caso, per verificare quando le espressioni contenute negli atti rilevanti siano considerate con un loro proprio ed autonomo significato o, viceversa, quando sia necessario riferirsi alla legge sostanziale dello Stato indicato nell’atto stesso o individuato per il mezzo delle norme di conflitto (dello stesso Stato o dello Stato del foro). Il primo approccio è generalmente preferito dalla Corte, anche se non sempre praticabile, e si ricollega alla nota giurisprudenza sviluppata per assicurare un’applicazione uniforme e il rispetto del principio di equità. A questo scopo, è necessario operare, in primo luogo, facendo costante riferimento «al sistema e agli scopi» dell’atto in cui la nozione considerata è inserita al fine di garantirne l’applicazione uniforme e, quindi, altresì ricorrere al c.d. metodo comparatistico per desumere dai diversi sistemi normativi nazionali regole e principi comuni a tutti gli Stati membri, anche di rango costituzionale. Tra questi ultimi senza dubbio rientra il principio di tutela della vita familiare, tratto dalla definizione contenuta nell’art. 8 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU) e dalla sua interpretazione ad opera della Corte di Strasburgo, che spesso i giudici di Lussemburgo adottano come parametro per valutare la proporzionalità di normative nazionali che ostacolano l’esercizio delle libertà di circolazione o di stabilimento garantite dal Trattato CE. Venendo ai contenuti specifici, sono ricostruiti nella giurisprudenza comunitaria dall’autore: la nozione di coniuge e il suo indelebile presupposto nel matrimonio eterosessuale; le caratteristiche distintive dell’unione matrimoniale e gli effetti del suo scioglimento; le obbligazioni alimentari nella soluzione dei conflitti di legge e di giurisdizione; gli altri membri della famiglia e la loro condizione di dipendenza (in particolare i figli); la tutela del nome di famiglia e il riconoscimento di status familiari. Dall’analisi si è tratto il ruolo predominante assunto in anni recenti dalla cittadinanza UE e dei diritti fondamentali dell’individuo nell’estensione delle prerogative riconosciute ai membri della famiglia.

La «famiglia» nella giurisprudenza comunitaria

RICCI, CAROLA
2007-01-01

Abstract

La giurisprudenza comunitaria ha sempre ricoperto un ruolo importante nella definizione del concetto di famiglia nello spazio europeo, pur in assenza di una competenza specifica della Comunità a regolare gli aspetti di diritto sostanziale in tale ambito. L’atteggiamento adottato dai giudici di Lussemburgo nel corso degli anni ha avuto come punto di partenza un modello tradizionale: la Corte e il Tribunale si sono costantemente riferiti al modello della famiglia fondata sul matrimonio di persone di sesso opposto, composta dal soggetto che esercita la libertà di circolazione, identificato quasi esclusivamente con la figura del padre lavoratore (male breadwinner) che mantiene finanziariamente la moglie (primary carer) e i figli, completamente dipendenti dal primo per l’esercizio dei diritti (di soggiornare, di esercitare un’attività lavorativa, e di istruirsi) ricollegati per molti anni esclusivamente allo status di coniuge o familiare (a carico). In effetti, solo di recente l’atteggiamento assunto nei confronti dei soggetti a carico è mutato, anche se non tanto sotto il profilo dell’apertura a nuovi modelli familiari non fondati sul matrimonio civile, quanto piuttosto nel senso del riconoscimento di status autonomi a favore dei dependent considerati uti singuli, quali cittadini dell’Unione, oltre che membri di una famiglia. L’analisi della giurisprudenza elaborata intorno alle nozioni di famiglia è svolta presentando al contempo il metodo di interpretazione proposto caso per caso, per verificare quando le espressioni contenute negli atti rilevanti siano considerate con un loro proprio ed autonomo significato o, viceversa, quando sia necessario riferirsi alla legge sostanziale dello Stato indicato nell’atto stesso o individuato per il mezzo delle norme di conflitto (dello stesso Stato o dello Stato del foro). Il primo approccio è generalmente preferito dalla Corte, anche se non sempre praticabile, e si ricollega alla nota giurisprudenza sviluppata per assicurare un’applicazione uniforme e il rispetto del principio di equità. A questo scopo, è necessario operare, in primo luogo, facendo costante riferimento «al sistema e agli scopi» dell’atto in cui la nozione considerata è inserita al fine di garantirne l’applicazione uniforme e, quindi, altresì ricorrere al c.d. metodo comparatistico per desumere dai diversi sistemi normativi nazionali regole e principi comuni a tutti gli Stati membri, anche di rango costituzionale. Tra questi ultimi senza dubbio rientra il principio di tutela della vita familiare, tratto dalla definizione contenuta nell’art. 8 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU) e dalla sua interpretazione ad opera della Corte di Strasburgo, che spesso i giudici di Lussemburgo adottano come parametro per valutare la proporzionalità di normative nazionali che ostacolano l’esercizio delle libertà di circolazione o di stabilimento garantite dal Trattato CE. Venendo ai contenuti specifici, sono ricostruiti nella giurisprudenza comunitaria dall’autore: la nozione di coniuge e il suo indelebile presupposto nel matrimonio eterosessuale; le caratteristiche distintive dell’unione matrimoniale e gli effetti del suo scioglimento; le obbligazioni alimentari nella soluzione dei conflitti di legge e di giurisdizione; gli altri membri della famiglia e la loro condizione di dipendenza (in particolare i figli); la tutela del nome di famiglia e il riconoscimento di status familiari. Dall’analisi si è tratto il ruolo predominante assunto in anni recenti dalla cittadinanza UE e dei diritti fondamentali dell’individuo nell’estensione delle prerogative riconosciute ai membri della famiglia.
2007
8814133301
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/124422
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