Nel 1929 la rivista «Kinema» chiama a raccolta le spettatrici invitandole a collaborare a una rubrica dal titolo programmatico: «la critica femminile». Per alcuni anni, sul periodico milanese si susseguono critiche, giudizi, analisi e osservazioni sui film, sul divismo, su fenomeni connessi al mondo del cinema che fanno della rubrica uno spazio di confronto e di dibattito di cui le donne sono protagoniste. Firmandosi con i loro nomi di spettatrici comuni (Carla Silvetti, Milano; Pia Malagoli, Roma), di donne celebri o dagli pseudonimi altisonanti (Dolores Love, Miluska de Bligny-Voronoff, Amarilli, ecc.), queste amanti del cinema compongono un ritratto sfaccettato e complesso di una tipologia di pubblico difficilmente inquadrabile in termini quantitativi (data l’assenza di dati statistici che impediscono di mettere a fuoco – per quel periodo – le caratteristiche socio-demografiche dei target). Inoltre la varietà degli interventi e la libertà degli approcci offrono indicatori preziosi sulle forme della cinefilia femminile e delle funzioni sociali che le spettatrici – in un periodo di modernizzazione – attribuiscono al cinema. Nella cornice dei discorsi sociali che investono il mezzo filmico veicolati dalle riviste di settore, «La critica femminile» si staglia come uno spazio anomalo e pionieristico, rivelatore di una sensibilità alternativa al discorso critico (prettamente maschile) che si va istituzionalizzando nei medesimi anni.
«Parlar chiaro» di cinema: spettatrici aspiranti critiche
MOSCONI, ELENA
2019-01-01
Abstract
Nel 1929 la rivista «Kinema» chiama a raccolta le spettatrici invitandole a collaborare a una rubrica dal titolo programmatico: «la critica femminile». Per alcuni anni, sul periodico milanese si susseguono critiche, giudizi, analisi e osservazioni sui film, sul divismo, su fenomeni connessi al mondo del cinema che fanno della rubrica uno spazio di confronto e di dibattito di cui le donne sono protagoniste. Firmandosi con i loro nomi di spettatrici comuni (Carla Silvetti, Milano; Pia Malagoli, Roma), di donne celebri o dagli pseudonimi altisonanti (Dolores Love, Miluska de Bligny-Voronoff, Amarilli, ecc.), queste amanti del cinema compongono un ritratto sfaccettato e complesso di una tipologia di pubblico difficilmente inquadrabile in termini quantitativi (data l’assenza di dati statistici che impediscono di mettere a fuoco – per quel periodo – le caratteristiche socio-demografiche dei target). Inoltre la varietà degli interventi e la libertà degli approcci offrono indicatori preziosi sulle forme della cinefilia femminile e delle funzioni sociali che le spettatrici – in un periodo di modernizzazione – attribuiscono al cinema. Nella cornice dei discorsi sociali che investono il mezzo filmico veicolati dalle riviste di settore, «La critica femminile» si staglia come uno spazio anomalo e pionieristico, rivelatore di una sensibilità alternativa al discorso critico (prettamente maschile) che si va istituzionalizzando nei medesimi anni.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.