Lo studio del processo creativo di Beethoven ha raggiunto un livello di specializzazione altissimo. Ciononostante, alcune questioni attendono ancora di essere chiarite e discusse in maniera sistematica. In questo senso le annotazioni “cue-staff” tipiche del modus operandi di Beethoven, che Alan Tyson individuò per la prima volta nel 1967 (nei manoscritti delle opere sinfonico-orchestrali del compositore), costituiscono un caso esemplare. Dopo Tyson, si occuparono della questione solo quattro studiosi: Lewis Lockwood, Joel Lester, Bernhard Appel e Joachim Veit che comunque – partendo da quanto sostenuto da Tyson – si concentrarono solo su opere di tipo sinfonico-orchestrale. Questo saggio – partendo dall'approfondimento del caso specifico rappresentato dall'autografo della Sonata op. 101 – riprende l’intera questione a partire dallo studio di un repertorio differente, quello sonatistico, per giungere a conclusioni del tutto inattese: 1) le annotazioni “cue-staff” vennero impiegate da Beethoven anche in questo genere apparentemente meno complesso; 2) una loro osservazione attenta permette di definire due sottocategorie finora mai osservate e caratterizzate da funzioni differenti; 3) il loro impiego si modificò nel corso del tempo (se all’inizio non ne veniva prevista nemmeno la presenza, il loro numero divenne sempre più cospicuo a partire dal 1815), 4) ciò permette di dimostrare che la prassi lavorativa beethoveniana andò incontro a un’evoluzione (ed evidentemente questa evoluzione si collega a quella ben nota riscontrabile su un piano stilistico, cui si riconduce – su un piano storiografico – la nascita del cosiddetto “stile tardo”).

“Cue-Staff” Annotations in Beethoven’s Piano Works: Reflections and Examples from the Autograph of the Piano Sonata, Opus 101

Federica Rovelli
2020-01-01

Abstract

Lo studio del processo creativo di Beethoven ha raggiunto un livello di specializzazione altissimo. Ciononostante, alcune questioni attendono ancora di essere chiarite e discusse in maniera sistematica. In questo senso le annotazioni “cue-staff” tipiche del modus operandi di Beethoven, che Alan Tyson individuò per la prima volta nel 1967 (nei manoscritti delle opere sinfonico-orchestrali del compositore), costituiscono un caso esemplare. Dopo Tyson, si occuparono della questione solo quattro studiosi: Lewis Lockwood, Joel Lester, Bernhard Appel e Joachim Veit che comunque – partendo da quanto sostenuto da Tyson – si concentrarono solo su opere di tipo sinfonico-orchestrale. Questo saggio – partendo dall'approfondimento del caso specifico rappresentato dall'autografo della Sonata op. 101 – riprende l’intera questione a partire dallo studio di un repertorio differente, quello sonatistico, per giungere a conclusioni del tutto inattese: 1) le annotazioni “cue-staff” vennero impiegate da Beethoven anche in questo genere apparentemente meno complesso; 2) una loro osservazione attenta permette di definire due sottocategorie finora mai osservate e caratterizzate da funzioni differenti; 3) il loro impiego si modificò nel corso del tempo (se all’inizio non ne veniva prevista nemmeno la presenza, il loro numero divenne sempre più cospicuo a partire dal 1815), 4) ciò permette di dimostrare che la prassi lavorativa beethoveniana andò incontro a un’evoluzione (ed evidentemente questa evoluzione si collega a quella ben nota riscontrabile su un piano stilistico, cui si riconduce – su un piano storiografico – la nascita del cosiddetto “stile tardo”).
2020
9781580469937
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/1373997
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