Uno dei temi maggiormente discussi e sollevati negli ultimi anni, sia nel dibattito accademico sia nel discorso pubblico, riguarda il problema delle fake news e del bullshitting, inteso come l’azione di parlare infischiandosene dei criteri epistemici e del valore di veritàdi quello che si dice con il solo scopo di impressione il proprio interlocutore (Frankfurt 2005). Queste pratiche sembrano contribuire in modo determinante alla realizzazione della cosiddetta società della post-verità e, per questa ragione, sono spesso viste come problematiche. Ma perché l’atteggiamento sprezzante nei confronti della realtà e della verità dovrebbe essere considerato pericoloso e nocivo per la politica? Una possibile risposta a questa domanda riguarda il problema della manipolazione e il timore che i cittadini possano essere condizionati nelle loro scelte politiche, pregiudicandone la capacità di influenzare i processi di decisione politica. In questo scritto, intendiamo proporre una risposta differente. Attraverso la riflessione e il confronto tra due autori classici della filosofia politica, John Rawls e Hannah Arendt, avanziamo l’ipotesi che la società della post-verità sia problematica non tanto per la possibile diffusione di credenze false tra cittadini, ma per la perdita di un linguaggio e di un contesto politico condiviso tale da permettere un dialogo e un confronto sensato tra cittadini. Da un lato, Rawls sostiene che, per ragionare pubblicamente e in un modo che sia rispettoso nei confronti del punto di vista di tutti, sia necessario affidarsi a credenze generali e forme di ragionamento di senso comune e accettate dalla generalità dei cittadini (1993). Dall’altro, Arendt considera la negazione della verità pericolosa per quel “mondo comune” a partire dal quale è possibile il confronto tra prospettive differenti (1995). In questo senso, per entrambi, non è tanto la verità ad avere valore intrinseco e a dover essere tutelata in quanto tale. Piuttosto, questi due autori sostengono che la condivisione della realtà sia necessaria in quanto essa costituisce uno sfondo comune di riferimento perché possa darsi la politica, sia essa intesa nei termini della giustificazione pubblica, come nel caso di Rawls, sia in quelli della pluralità, come è per Arendt. Il paper si conclude scartando quelle soluzioni al problema della post-verità che invocano misure come il fact-checking (Rini 2017), difendendo invece una concezione di amicizia politica e rispetto reciproco, in linea sia con lo spirito di Rawls sia con quello di Arendt, adatta a ridurre la polarizzazione politica e a stabilire relazioni di fiducia tra i cittadini.
La post-verità e le condizioni di possibilità della politica: Hannah Arendt e John Rawls in dialogo
federica liveriero;
2022-01-01
Abstract
Uno dei temi maggiormente discussi e sollevati negli ultimi anni, sia nel dibattito accademico sia nel discorso pubblico, riguarda il problema delle fake news e del bullshitting, inteso come l’azione di parlare infischiandosene dei criteri epistemici e del valore di veritàdi quello che si dice con il solo scopo di impressione il proprio interlocutore (Frankfurt 2005). Queste pratiche sembrano contribuire in modo determinante alla realizzazione della cosiddetta società della post-verità e, per questa ragione, sono spesso viste come problematiche. Ma perché l’atteggiamento sprezzante nei confronti della realtà e della verità dovrebbe essere considerato pericoloso e nocivo per la politica? Una possibile risposta a questa domanda riguarda il problema della manipolazione e il timore che i cittadini possano essere condizionati nelle loro scelte politiche, pregiudicandone la capacità di influenzare i processi di decisione politica. In questo scritto, intendiamo proporre una risposta differente. Attraverso la riflessione e il confronto tra due autori classici della filosofia politica, John Rawls e Hannah Arendt, avanziamo l’ipotesi che la società della post-verità sia problematica non tanto per la possibile diffusione di credenze false tra cittadini, ma per la perdita di un linguaggio e di un contesto politico condiviso tale da permettere un dialogo e un confronto sensato tra cittadini. Da un lato, Rawls sostiene che, per ragionare pubblicamente e in un modo che sia rispettoso nei confronti del punto di vista di tutti, sia necessario affidarsi a credenze generali e forme di ragionamento di senso comune e accettate dalla generalità dei cittadini (1993). Dall’altro, Arendt considera la negazione della verità pericolosa per quel “mondo comune” a partire dal quale è possibile il confronto tra prospettive differenti (1995). In questo senso, per entrambi, non è tanto la verità ad avere valore intrinseco e a dover essere tutelata in quanto tale. Piuttosto, questi due autori sostengono che la condivisione della realtà sia necessaria in quanto essa costituisce uno sfondo comune di riferimento perché possa darsi la politica, sia essa intesa nei termini della giustificazione pubblica, come nel caso di Rawls, sia in quelli della pluralità, come è per Arendt. Il paper si conclude scartando quelle soluzioni al problema della post-verità che invocano misure come il fact-checking (Rini 2017), difendendo invece una concezione di amicizia politica e rispetto reciproco, in linea sia con lo spirito di Rawls sia con quello di Arendt, adatta a ridurre la polarizzazione politica e a stabilire relazioni di fiducia tra i cittadini.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.