Grazie alla banca dati messa a disposizione nel sito della Camera, che raccoglie i resoconti di tutti dibattiti dal 1848 al 2018 (compresi quelli dell’Assemblea costituente), è possibile ricostruire una documentata storia dell’uso di Dante nella politica italiana. Le verifiche fatte su alcuni tipi di citazione e su alcuni tipici "dantismi" confermano che siamo sempre di fronte a quei «giuochi di lanterna magica, per cui Dante si fa servire a tutti i partiti, a tutte le idee», come Giosue Carducci osservava già nel lontano 1880. D’altra parte – secondo una battuta attribuita a Francesco Guerrazzi, altro scrittore dell’Ottocento – «Dante è una delle tre cose che condividono con la gomma la prerogativa dell’elasticità – le altre due, per chi non lo sapesse, sono la Bibbia, e, naturalmente, la coscienza». In questo sta ciò che si potrebbe chiamare il potere atemporale di Dante: quel Dante metastorico che fin dall’Ottocento può essere citato – da destra, dal centro e da sinistra – in discorsi che trattano di linee telefoniche e ferroviarie, di industrie e di turismo. Quella che cambia nel tempo non è tanto la quantità, quanto piuttosto la varietà dei richiami. La progressiva perdita di profondità della memoria dantesca fa sì che le citazioni vere e proprie tendano a rarefarsi, mentre si rafforza la presenza dei dantismi fraseologici: versi del poema divenuti modi di dire proverbiali. È vero, infatti, che certe espressioni – come «fuor del/dal pelago», «color(o) che son(o) sospesi», «lasciate ogni speranza» – vanno via via scemando e altre raggiungono il loro picco nel primo Novecento («cose che il tacere è bello», «dalla cintola in su / giù»). Ma ce ne sono alcune che invece si fanno via via più frequenti fino alla fine del Novecento («per li rami», «le vene e i polsi», «colà dove si puote», «guarda e passa») o in quello stesso periodo risalgono quasi ai livelli ottocenteschi. Così accade per la già vista «le leggi (ci/vi) son(o)», per «il gran rifiuto» e anche per l’espressione che – forse non a caso – risulta in assoluto la più frequente nella storia della Camera dei deputati; l’unica che continua a vantare significative attestazioni anche nella cosiddetta Seconda repubblica: «le dolenti note».
Dantismi e citazioni dantesche nei dibattiti alla Camera dei Deputati
giuseppe antonelli
2023-01-01
Abstract
Grazie alla banca dati messa a disposizione nel sito della Camera, che raccoglie i resoconti di tutti dibattiti dal 1848 al 2018 (compresi quelli dell’Assemblea costituente), è possibile ricostruire una documentata storia dell’uso di Dante nella politica italiana. Le verifiche fatte su alcuni tipi di citazione e su alcuni tipici "dantismi" confermano che siamo sempre di fronte a quei «giuochi di lanterna magica, per cui Dante si fa servire a tutti i partiti, a tutte le idee», come Giosue Carducci osservava già nel lontano 1880. D’altra parte – secondo una battuta attribuita a Francesco Guerrazzi, altro scrittore dell’Ottocento – «Dante è una delle tre cose che condividono con la gomma la prerogativa dell’elasticità – le altre due, per chi non lo sapesse, sono la Bibbia, e, naturalmente, la coscienza». In questo sta ciò che si potrebbe chiamare il potere atemporale di Dante: quel Dante metastorico che fin dall’Ottocento può essere citato – da destra, dal centro e da sinistra – in discorsi che trattano di linee telefoniche e ferroviarie, di industrie e di turismo. Quella che cambia nel tempo non è tanto la quantità, quanto piuttosto la varietà dei richiami. La progressiva perdita di profondità della memoria dantesca fa sì che le citazioni vere e proprie tendano a rarefarsi, mentre si rafforza la presenza dei dantismi fraseologici: versi del poema divenuti modi di dire proverbiali. È vero, infatti, che certe espressioni – come «fuor del/dal pelago», «color(o) che son(o) sospesi», «lasciate ogni speranza» – vanno via via scemando e altre raggiungono il loro picco nel primo Novecento («cose che il tacere è bello», «dalla cintola in su / giù»). Ma ce ne sono alcune che invece si fanno via via più frequenti fino alla fine del Novecento («per li rami», «le vene e i polsi», «colà dove si puote», «guarda e passa») o in quello stesso periodo risalgono quasi ai livelli ottocenteschi. Così accade per la già vista «le leggi (ci/vi) son(o)», per «il gran rifiuto» e anche per l’espressione che – forse non a caso – risulta in assoluto la più frequente nella storia della Camera dei deputati; l’unica che continua a vantare significative attestazioni anche nella cosiddetta Seconda repubblica: «le dolenti note».I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.