Il contributo ricostruisce della storia della “critica degli scartafacci” prendendo le mosse dall’attività proto-filologica con la quale Alfieri si recò a Ferrara per consultare i manoscritti dell'Ariosto. Alfieri si inseriva in una tradizione che risaliva al Rinascimento, durante il quale era emerso un nuovo approccio ai manoscritti d'autore. Lo studio dei manoscritti autografi e delle varianti d'autore, reso possibile in Italia dalla conservazione eccezionalmente precoce degli archivi degli scrittori, era diventato uno strumento pedagogico per l'apprendimento della scrittura e della lingua. In assenza di una norma linguistica condivisa, si cercò di ricavarla dalle pratiche dei grandi scrittori, la cui autenticità era garantita dai manoscritti autografi. In questo approccio fu di determinante rilevanza l’affermazione precoce nella penisola, in ambito dapprima medievale e poi umanistico, di fenomeni come l’autorialità e l’autografia, cui diedero un contributo decisivo figure quali Petrarca e Boccaccio, che saldarono la figura dell’Auctor alla materialità del testo, dalla quale discese l’idea costituita dalla dignità della conservazione dei materiali autografi prodotti nelle diverse fasi preparatorie. Di qui, un percorso che da Poliziano e Bembo conduce a quanti raccolsero il testimone tra XVI e XVII secolo (da Daniello a Ruscelli, da Fornari a Pigna, passando per Dolce e Borghini, fino a Ubaldini e Muratori) fino a identificare una tradizione che corre sotterranea per tutto il XVIII secolo, il cui approdo finale è circolarmente costituito da Alfieri, oppositore ante litteram di quella «critica della conferma» che sarà ancora produttiva in pieno Novecento.
La "critica degli scartafacci" ai suoi albori: la "protocritica della varianti" e gli "incunaboli della critica genetica"
Del Vento, Christian
2022-01-01
Abstract
Il contributo ricostruisce della storia della “critica degli scartafacci” prendendo le mosse dall’attività proto-filologica con la quale Alfieri si recò a Ferrara per consultare i manoscritti dell'Ariosto. Alfieri si inseriva in una tradizione che risaliva al Rinascimento, durante il quale era emerso un nuovo approccio ai manoscritti d'autore. Lo studio dei manoscritti autografi e delle varianti d'autore, reso possibile in Italia dalla conservazione eccezionalmente precoce degli archivi degli scrittori, era diventato uno strumento pedagogico per l'apprendimento della scrittura e della lingua. In assenza di una norma linguistica condivisa, si cercò di ricavarla dalle pratiche dei grandi scrittori, la cui autenticità era garantita dai manoscritti autografi. In questo approccio fu di determinante rilevanza l’affermazione precoce nella penisola, in ambito dapprima medievale e poi umanistico, di fenomeni come l’autorialità e l’autografia, cui diedero un contributo decisivo figure quali Petrarca e Boccaccio, che saldarono la figura dell’Auctor alla materialità del testo, dalla quale discese l’idea costituita dalla dignità della conservazione dei materiali autografi prodotti nelle diverse fasi preparatorie. Di qui, un percorso che da Poliziano e Bembo conduce a quanti raccolsero il testimone tra XVI e XVII secolo (da Daniello a Ruscelli, da Fornari a Pigna, passando per Dolce e Borghini, fino a Ubaldini e Muratori) fino a identificare una tradizione che corre sotterranea per tutto il XVIII secolo, il cui approdo finale è circolarmente costituito da Alfieri, oppositore ante litteram di quella «critica della conferma» che sarà ancora produttiva in pieno Novecento.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.