L’intervento si propone di sistematizzare in un quadro teorico la descrizione di quella che può essere definita come una «metavarietà»: perché non legata a usi oggettivi, ma a una proiezione soggettiva condivisa riguardo a determinati usi; proiezione, appunto, metalinguistica. E anche – in parte – metastorica, in quanto fondata su pregiudizi tramandati spesso all’interno di una visione conservatrice: coerente nel negare l’evoluzione storica della lingua in nome della presunta continuità di un idealizzato standard. Una metavarietà che – riguardo all’italiano attuale – implica anche una riconsiderazione dei rapporti tra uno standard divenuto ormai vetero-standard, un neo-standard che ormai di nuovo ha ben poco e le innovazioni che nel frattempo si stanno affacciando nell’uso. La nozione di «italiano percepito» si lega da un lato a quello che è stato chiamato «sentimento della lingua», dall’altro alla più ampia nozione di «ideologie linguistiche». «Tu ami la lingua del tuo paese, non è vero? L’amiamo tutti», scriveva Edmondo De Amicis nel suo L’idioma gentile. Questo sentimento continua ancora oggi ad accomunare i parlanti: un legame affettivo, prima ancora che normativo, nei confronti della lingua madre. Ed è proprio quel «sentimento della lingua» che veniva considerato da De Saussure la chiave del rapporto tra parole e langue: Una definizione che fa da titolo a un volume di Serianni del 2019, ma già nel 2004 era utilizzata dallo stesso Serianni in relazione a quell’atteggiamento detto anche di «lealtà linguistica». Oggi potremmo ricondurre il concetto alla nozione sociologica di sentiment. Un comune sentire attestato – proprio come accade in tanti altri casi: basta pensare ad argomenti come l’immigrazione o la criminalità – su posizioni pessimistiche, influenzate da spinte emotive più che da dati obiettivi. Una lealtà linguistica, insomma, che spesso rimane lontana dalla realtà. Tipica la vicenda della «morte del congiuntivo»: morte presunta, ma annunciata già da oltre mezzo secolo proprio come quella del punto e virgola; o ancora – analogamente – della «scomparsa dei dialetti» e dell’«invasione» delle parole straniere. Proprio a proposito della situazione relativa agli anglicismi, è stata usata per la prima volta nel 2005 metafora meteorologica della temperatura percepita: una presenza obiettiva contenuta in percentuali fisiologiche avvertita come preoccupante perché amplificata a dismisura dal frastuono mediatico. Metafora che può essere applicata più in generale al rapporto tra gli utenti e la lingua, ed è stata in effetti usata in seguito riguardo a molti altri aspetti: la punteggiatura percepita, la norma percepita, ecc. Questo tipo d’impostazione, d’altra parte, è ormai da qualche anno alla base di ricerche svolte in diversi ambiti e su diversi aspetti. Un tipo di ricerche che s’inserisce nell’ottica più ampia delle cosiddette «ideologie linguistiche»: alcuni di questi saggi si soffermano, in particolare, sul modo in cui i giornali – specie i quotidiani – hanno contribuito a plasmare, nell’ambito delle ideologie linguistiche dominanti, quella percezione collettiva che si traduce in un condiviso sentimento della lingua.

Una meta-varietà: l’italiano percepito.

Giuseppe Antonelli
2024-01-01

Abstract

L’intervento si propone di sistematizzare in un quadro teorico la descrizione di quella che può essere definita come una «metavarietà»: perché non legata a usi oggettivi, ma a una proiezione soggettiva condivisa riguardo a determinati usi; proiezione, appunto, metalinguistica. E anche – in parte – metastorica, in quanto fondata su pregiudizi tramandati spesso all’interno di una visione conservatrice: coerente nel negare l’evoluzione storica della lingua in nome della presunta continuità di un idealizzato standard. Una metavarietà che – riguardo all’italiano attuale – implica anche una riconsiderazione dei rapporti tra uno standard divenuto ormai vetero-standard, un neo-standard che ormai di nuovo ha ben poco e le innovazioni che nel frattempo si stanno affacciando nell’uso. La nozione di «italiano percepito» si lega da un lato a quello che è stato chiamato «sentimento della lingua», dall’altro alla più ampia nozione di «ideologie linguistiche». «Tu ami la lingua del tuo paese, non è vero? L’amiamo tutti», scriveva Edmondo De Amicis nel suo L’idioma gentile. Questo sentimento continua ancora oggi ad accomunare i parlanti: un legame affettivo, prima ancora che normativo, nei confronti della lingua madre. Ed è proprio quel «sentimento della lingua» che veniva considerato da De Saussure la chiave del rapporto tra parole e langue: Una definizione che fa da titolo a un volume di Serianni del 2019, ma già nel 2004 era utilizzata dallo stesso Serianni in relazione a quell’atteggiamento detto anche di «lealtà linguistica». Oggi potremmo ricondurre il concetto alla nozione sociologica di sentiment. Un comune sentire attestato – proprio come accade in tanti altri casi: basta pensare ad argomenti come l’immigrazione o la criminalità – su posizioni pessimistiche, influenzate da spinte emotive più che da dati obiettivi. Una lealtà linguistica, insomma, che spesso rimane lontana dalla realtà. Tipica la vicenda della «morte del congiuntivo»: morte presunta, ma annunciata già da oltre mezzo secolo proprio come quella del punto e virgola; o ancora – analogamente – della «scomparsa dei dialetti» e dell’«invasione» delle parole straniere. Proprio a proposito della situazione relativa agli anglicismi, è stata usata per la prima volta nel 2005 metafora meteorologica della temperatura percepita: una presenza obiettiva contenuta in percentuali fisiologiche avvertita come preoccupante perché amplificata a dismisura dal frastuono mediatico. Metafora che può essere applicata più in generale al rapporto tra gli utenti e la lingua, ed è stata in effetti usata in seguito riguardo a molti altri aspetti: la punteggiatura percepita, la norma percepita, ecc. Questo tipo d’impostazione, d’altra parte, è ormai da qualche anno alla base di ricerche svolte in diversi ambiti e su diversi aspetti. Un tipo di ricerche che s’inserisce nell’ottica più ampia delle cosiddette «ideologie linguistiche»: alcuni di questi saggi si soffermano, in particolare, sul modo in cui i giornali – specie i quotidiani – hanno contribuito a plasmare, nell’ambito delle ideologie linguistiche dominanti, quella percezione collettiva che si traduce in un condiviso sentimento della lingua.
2024
979-12-5496-143-8
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/1502118
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