In un contesto urbano segnato da crisi sistemiche – ambientali, sociali ed economiche – il saggio riflette sul ruolo trasformativo dell’architettura nei territori di marginalità. A partire dall’analisi delle periferie come spazi non solo di esclusione ma anche di possibilità, l’autrice propone una lettura critica delle pratiche progettuali orientate alla “partecipazione radicale”. Rifiutando una visione tecnocratica o compensativa dell’architettura, il saggio evidenzia il potenziale dei margini urbani come laboratori di sperimentazione e di co-produzione del bene comune. Attraverso riferimenti teorici a Lefebvre, Massey, Harvey e Rendell, e mediante l’analisi dell’esperienza condotta nel quartiere Rione Scala a Pavia, l’autrice esplora il progetto come atto politico situato, capace di innescare processi di trasformazione sociale e spaziale. L’architettura è intesa non come risposta chiusa ma come infrastruttura relazionale, costruita nel tempo e attraverso il conflitto. Il testo propone una visione alternativa del ruolo dell’architetto come facilitatore e mediatore, e sostiene la necessità di un approccio critico e situato che restituisca agency alle comunità locali. Il margine si configura così non come periferia da correggere, ma come spazio generativo per l’emergere di nuove forme di abitare e di cittadinanza.
Laboratori di resistenza. Progetto architettonico e partecipazione ai margini della città
Nadia Bertolino
2025-01-01
Abstract
In un contesto urbano segnato da crisi sistemiche – ambientali, sociali ed economiche – il saggio riflette sul ruolo trasformativo dell’architettura nei territori di marginalità. A partire dall’analisi delle periferie come spazi non solo di esclusione ma anche di possibilità, l’autrice propone una lettura critica delle pratiche progettuali orientate alla “partecipazione radicale”. Rifiutando una visione tecnocratica o compensativa dell’architettura, il saggio evidenzia il potenziale dei margini urbani come laboratori di sperimentazione e di co-produzione del bene comune. Attraverso riferimenti teorici a Lefebvre, Massey, Harvey e Rendell, e mediante l’analisi dell’esperienza condotta nel quartiere Rione Scala a Pavia, l’autrice esplora il progetto come atto politico situato, capace di innescare processi di trasformazione sociale e spaziale. L’architettura è intesa non come risposta chiusa ma come infrastruttura relazionale, costruita nel tempo e attraverso il conflitto. Il testo propone una visione alternativa del ruolo dell’architetto come facilitatore e mediatore, e sostiene la necessità di un approccio critico e situato che restituisca agency alle comunità locali. Il margine si configura così non come periferia da correggere, ma come spazio generativo per l’emergere di nuove forme di abitare e di cittadinanza.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


