L’articolo prende il « caso Musk » come laboratorio privilegiato per interrogare la disciplina delle remunerazioni e, più in generale, l’evoluzione del diritto societario della grande impresa azionaria. Muovendo dalla struttura, senza precedenti, del piano di stock-option (2018) concesso a Elon Musk e dalle sue successive vicissitudini—approvazione assembleare, impugnazione del socio di minoranza, pronuncia Chancery Court del 30 gennaio 2024, nuovo voto degli azionisti del giugno 2024, conferma dell’annullamento nella post-trial opinion del 2 dicembre 2024 e trasferimento della sede sociale in Texas—l’A. mostra che il nodo centrale non è la misura del compenso, bensì il metodo: indipendenza effettiva del board e del compensation committee, completezza dell’informativa ai soci, gestione dei conflitti di interesse alla luce dell’art. 144 DGCL e del test di « entire fairness ». Il confronto fra proxy advisors e grandi investitori istituzionali, spesso divergenti nelle scelte di voto, rivela come la governance del « superstar CEO » metta alla prova il paradigma pay/performance e la tradizionale supremazia dell’azionista, sollecitando procedure più robuste e trasparenti. Sullo sfondo, l’autore individua un possibile riequilibrio fra short-termism e long-termism: piani retributivi radicalmente variabili possono, da un lato, allineare manager e mercato su obiettivi tecnologici di lunghissimo periodo, dall’altro, accentuare l’opacità informativa e i rischi di cattura manageriale. In conclusione, « l’avidità » del manager non è di per sé un problema; lo diventa quando non è incanalata da procedure di controllo coerenti con i doveri fiduciari. La sentenza del Delaware—interpretata come risposta « liberale » che salvaguarda l’autonomia societaria senza indulgere a moralismi—offre quindi un precedente destinato a incidere sulla concorrenza fra ordinamenti e sull’agenda europea in materia di say on pay, riaffermando che la disciplina delle remunerazioni resta, prima di tutto, « una disciplina di processo ».
Greed is good ? La disciplina delle remunerazioni (e il diritto societario) alla prova del “caso Elon Musk”
Andrea Chiloiro
2025-01-01
Abstract
L’articolo prende il « caso Musk » come laboratorio privilegiato per interrogare la disciplina delle remunerazioni e, più in generale, l’evoluzione del diritto societario della grande impresa azionaria. Muovendo dalla struttura, senza precedenti, del piano di stock-option (2018) concesso a Elon Musk e dalle sue successive vicissitudini—approvazione assembleare, impugnazione del socio di minoranza, pronuncia Chancery Court del 30 gennaio 2024, nuovo voto degli azionisti del giugno 2024, conferma dell’annullamento nella post-trial opinion del 2 dicembre 2024 e trasferimento della sede sociale in Texas—l’A. mostra che il nodo centrale non è la misura del compenso, bensì il metodo: indipendenza effettiva del board e del compensation committee, completezza dell’informativa ai soci, gestione dei conflitti di interesse alla luce dell’art. 144 DGCL e del test di « entire fairness ». Il confronto fra proxy advisors e grandi investitori istituzionali, spesso divergenti nelle scelte di voto, rivela come la governance del « superstar CEO » metta alla prova il paradigma pay/performance e la tradizionale supremazia dell’azionista, sollecitando procedure più robuste e trasparenti. Sullo sfondo, l’autore individua un possibile riequilibrio fra short-termism e long-termism: piani retributivi radicalmente variabili possono, da un lato, allineare manager e mercato su obiettivi tecnologici di lunghissimo periodo, dall’altro, accentuare l’opacità informativa e i rischi di cattura manageriale. In conclusione, « l’avidità » del manager non è di per sé un problema; lo diventa quando non è incanalata da procedure di controllo coerenti con i doveri fiduciari. La sentenza del Delaware—interpretata come risposta « liberale » che salvaguarda l’autonomia societaria senza indulgere a moralismi—offre quindi un precedente destinato a incidere sulla concorrenza fra ordinamenti e sull’agenda europea in materia di say on pay, riaffermando che la disciplina delle remunerazioni resta, prima di tutto, « una disciplina di processo ».I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


