Al centro di questo contributo si colloca il problema della trasmissione e della perpetuità del potere imperiale. La costruzione del sistema tetrarchico deve considerarsi un tentativo originale di conciliare, in forza delle categorie religiose definite dalla mistica imperiale e di una concezione ciclica del tempo, la trasmissione del potere, all’interno di un collegio imperiale costituito per selezione divina (Iovii ed Herculii), di fratres e di filii, con il tradizionale principio aristocratico della cooptazione (adozione) del migliore e con una concezione magistratuale dell’esercizio dell’imperium. In quest’elaborazione la IV ecloga di Virgilio, o, per meglio dire, la sua interpretatio augustea e post-augustea (in hac ecloga simpliciter poeta canit renascentis mundi sub Caesaribus, sostiene lo scoliaste di Berna) ha esercitato una forte influenza sul pensiero politico-religioso di Diocleziano. Negli anni della cosiddetta svolta costantiniana questo canone interpretativo, ormai secolare, fu contestato e sostituito da un altro radicalmente differente. Forse, proprio in polemica con l’interpretazione imperiale più antica, ribadita dalla propaganda tetrarchica, il redattore dell’Oratio ad sanctorum coetum volle vedere, nel bambino divino dell’ecloga virgiliana, un riferimento alla nascita di Gesù Cristo, e, in Virgilio, un messaggero dell’incarnazione del Logos. Nell’ideologia tetrarchica Giove ed Ercole erano i veri governanti del cosmo e dell’impero, ma regnavano attraverso principi provvisti del loro numen divino. Questa giustificazione teocratica del potere imperiale aveva, rispetto ad altre ideologie o finzioni, un evidente vantaggio: la selezione divina degli imperatori riduceva l’importanza dei poteri umani, e quello dell’esercito in particolare, nell’elezione dell’imperatore, perché soltanto gli Augusti in carica disponevano del diritto di proclamare altri imperatori. Creando una famiglia divina, Diocleziano escluse dalla partecipazione al potere imperiale chiunque non vi appartenesse, con conseguenze molto importanti sul piano del diritto pubblico. La tetrarchia elaborò, pertanto, una dispositio, che si manifestò compiutamente nel ‘regolamento di successione’: ma questo meccanismo si sottomise a una particolare visione del cosmo e delle sue leggi. Gli dèi – per chi ha congegnato la costruzione tetrarchica – governavano il mondo attraverso gli imperatori, ma il loro potere (come quello degli stessi dèi d’altronde) doveva sottostare al fato che imponeva inesorabilmente, nel ciclo naturale di tutte le cose, la successione delle generazioni. È questo, a mio parere, il piano sul quale Diocleziano tentò, andando incontro, invece, a una sconfitta politica forse inevitabile, di “normalizzare” il potere carismatico dell’imperatore.

Gli dèi governano il mondo. La trasmissione del potere imperiale in età tetrarchica.

MAROTTA, VALERIO
2010-01-01

Abstract

Al centro di questo contributo si colloca il problema della trasmissione e della perpetuità del potere imperiale. La costruzione del sistema tetrarchico deve considerarsi un tentativo originale di conciliare, in forza delle categorie religiose definite dalla mistica imperiale e di una concezione ciclica del tempo, la trasmissione del potere, all’interno di un collegio imperiale costituito per selezione divina (Iovii ed Herculii), di fratres e di filii, con il tradizionale principio aristocratico della cooptazione (adozione) del migliore e con una concezione magistratuale dell’esercizio dell’imperium. In quest’elaborazione la IV ecloga di Virgilio, o, per meglio dire, la sua interpretatio augustea e post-augustea (in hac ecloga simpliciter poeta canit renascentis mundi sub Caesaribus, sostiene lo scoliaste di Berna) ha esercitato una forte influenza sul pensiero politico-religioso di Diocleziano. Negli anni della cosiddetta svolta costantiniana questo canone interpretativo, ormai secolare, fu contestato e sostituito da un altro radicalmente differente. Forse, proprio in polemica con l’interpretazione imperiale più antica, ribadita dalla propaganda tetrarchica, il redattore dell’Oratio ad sanctorum coetum volle vedere, nel bambino divino dell’ecloga virgiliana, un riferimento alla nascita di Gesù Cristo, e, in Virgilio, un messaggero dell’incarnazione del Logos. Nell’ideologia tetrarchica Giove ed Ercole erano i veri governanti del cosmo e dell’impero, ma regnavano attraverso principi provvisti del loro numen divino. Questa giustificazione teocratica del potere imperiale aveva, rispetto ad altre ideologie o finzioni, un evidente vantaggio: la selezione divina degli imperatori riduceva l’importanza dei poteri umani, e quello dell’esercito in particolare, nell’elezione dell’imperatore, perché soltanto gli Augusti in carica disponevano del diritto di proclamare altri imperatori. Creando una famiglia divina, Diocleziano escluse dalla partecipazione al potere imperiale chiunque non vi appartenesse, con conseguenze molto importanti sul piano del diritto pubblico. La tetrarchia elaborò, pertanto, una dispositio, che si manifestò compiutamente nel ‘regolamento di successione’: ma questo meccanismo si sottomise a una particolare visione del cosmo e delle sue leggi. Gli dèi – per chi ha congegnato la costruzione tetrarchica – governavano il mondo attraverso gli imperatori, ma il loro potere (come quello degli stessi dèi d’altronde) doveva sottostare al fato che imponeva inesorabilmente, nel ciclo naturale di tutte le cose, la successione delle generazioni. È questo, a mio parere, il piano sul quale Diocleziano tentò, andando incontro, invece, a una sconfitta politica forse inevitabile, di “normalizzare” il potere carismatico dell’imperatore.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/215123
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