Il manoscritto Acqui Terme, Archivio Vescovile, ms. F 21 cartella 3/4, meglio noto come «Codice di san Guido», redatto presumibilmente nei primi decenni del XIV secolo, è codice compilato espressamente per l’uso della cattedrale di Acqui; al suo interno contiene tre testimonianze di pratiche polivocali, in due delle quali compare la doppia notazione nera e rossa. Queste mostrano la coesistenza di situazioni e tradizioni diverse, una sorta di sintesi di esperienze diverse nell’ambito del canto liturgico del XIV secolo articolate nei due livelli principali, quello della mera prassi esecutiva anche improvvisata e quello della composizione vera e propria. Nel primo caso abbiamo la semplice tecnica del suono tenuto, ovvero del bordone, che si somma ad una struttura melodica preesistente; a questi appartengono il Gloria (in cui la presenza del bordone è prescritto ad libitum da apposita rubrica) e la prima lettura della messa, con doppio bordone di quinta scritto per esteso. Nel secondo caso abbiamo una composizione polifonica vera e propria, del tutto in linea con i principi del repertorio polivocale liturgico del tardo Duecento e del primo Trecento. Si tratta di un Benedicamus a due voci posto al termine dei Vespri, tramandato anche nel codice 68 della Biblioteca Capitolare di Ivrea in una versione assai simile ma non identica; la rielaborazione acquense, più attenta al gioco delle consonanze e delle simmetrie strutturali, denuncia una sorta di cristallizzazione e codificazione di forma e stile evidente anche nella cosiddetta “polifonia semplice”, grazie anche alla scrittura intesa come parametro irrinunciabile.
Testimonianze di prassi polivocali nel «Codice di San Guido» (Acqui Terme, Archivio Vescovile, ms. F 21 cartella 3/4)
TIBALDI, RODOBALDO
2013-01-01
Abstract
Il manoscritto Acqui Terme, Archivio Vescovile, ms. F 21 cartella 3/4, meglio noto come «Codice di san Guido», redatto presumibilmente nei primi decenni del XIV secolo, è codice compilato espressamente per l’uso della cattedrale di Acqui; al suo interno contiene tre testimonianze di pratiche polivocali, in due delle quali compare la doppia notazione nera e rossa. Queste mostrano la coesistenza di situazioni e tradizioni diverse, una sorta di sintesi di esperienze diverse nell’ambito del canto liturgico del XIV secolo articolate nei due livelli principali, quello della mera prassi esecutiva anche improvvisata e quello della composizione vera e propria. Nel primo caso abbiamo la semplice tecnica del suono tenuto, ovvero del bordone, che si somma ad una struttura melodica preesistente; a questi appartengono il Gloria (in cui la presenza del bordone è prescritto ad libitum da apposita rubrica) e la prima lettura della messa, con doppio bordone di quinta scritto per esteso. Nel secondo caso abbiamo una composizione polifonica vera e propria, del tutto in linea con i principi del repertorio polivocale liturgico del tardo Duecento e del primo Trecento. Si tratta di un Benedicamus a due voci posto al termine dei Vespri, tramandato anche nel codice 68 della Biblioteca Capitolare di Ivrea in una versione assai simile ma non identica; la rielaborazione acquense, più attenta al gioco delle consonanze e delle simmetrie strutturali, denuncia una sorta di cristallizzazione e codificazione di forma e stile evidente anche nella cosiddetta “polifonia semplice”, grazie anche alla scrittura intesa come parametro irrinunciabile.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.