Nel contesto di un volume collettaneo curato da Elisabetta Colombo che, attraverso il confronto tra diverse realtà cittadine, prende in esame le procedure, le motivazioni, le dinamiche politico-istituzionali che si accompagnarono tra il 1859 e il 1889 alla nomina del sindaco per decreto reale, su indicazione del prefetto e tenuto conto degli orientamenti del Consiglio comunale, viene analizzato il caso di Pavia. Il fatto che sindaco fosse allora contemporanemente il capo dell'amministrazione il rappresentante del governo in sede locale, spiega come mai la città possa assumersi quale "paradigama del conflitto". Infatti Pavia si distingueva nel periodo in esame, quanto meno nel contesto lombardo, per la presenza di una diffusa cultura antagonista di matrice repubblicana, per la crescente conflittualità tra le élites politiche e per le tensioni sociali, che resero difficoltose sia l'individuazione delle personalità più adatte al ruolo, sia anche l'azione amministrativa, tra dimissioni ripetute di giunte e consiglieri comunali, commissariamenti prefettizi e elezioni amministrative annullate. Alla volatilità dei sindaci si accompagnò peraltro la stabilità dei funzionari e in particolare del segretario municipale. La prospettiva adottata di partire dalle biografie individuali dei sindaci e dai tratti specifici delle varie sindacature consente di affrontare più ampiamente anche il tema delle public policies, che nonostante i contrasti e gli impedimenti nel contesto municipale analizzato, si collocarono in una linea di relativa continuità.
Il paradigma del conflitto: i sindaci di Pavia 1859-1889
TESORO, MARINA
2010-01-01
Abstract
Nel contesto di un volume collettaneo curato da Elisabetta Colombo che, attraverso il confronto tra diverse realtà cittadine, prende in esame le procedure, le motivazioni, le dinamiche politico-istituzionali che si accompagnarono tra il 1859 e il 1889 alla nomina del sindaco per decreto reale, su indicazione del prefetto e tenuto conto degli orientamenti del Consiglio comunale, viene analizzato il caso di Pavia. Il fatto che sindaco fosse allora contemporanemente il capo dell'amministrazione il rappresentante del governo in sede locale, spiega come mai la città possa assumersi quale "paradigama del conflitto". Infatti Pavia si distingueva nel periodo in esame, quanto meno nel contesto lombardo, per la presenza di una diffusa cultura antagonista di matrice repubblicana, per la crescente conflittualità tra le élites politiche e per le tensioni sociali, che resero difficoltose sia l'individuazione delle personalità più adatte al ruolo, sia anche l'azione amministrativa, tra dimissioni ripetute di giunte e consiglieri comunali, commissariamenti prefettizi e elezioni amministrative annullate. Alla volatilità dei sindaci si accompagnò peraltro la stabilità dei funzionari e in particolare del segretario municipale. La prospettiva adottata di partire dalle biografie individuali dei sindaci e dai tratti specifici delle varie sindacature consente di affrontare più ampiamente anche il tema delle public policies, che nonostante i contrasti e gli impedimenti nel contesto municipale analizzato, si collocarono in una linea di relativa continuità.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.