Non è un caso, riteniamo, che l’apertura della filosofia analitica ai più diversi campi d’indagine (epistemologico, etico, estetico, giuridico, politico) sia coincisa con il moltiplicarsi, nel suo ambito, di ricerche sull’ontologia: dal momento che linguaggio e concetti rappresentano il principale oggetto di studio per l’approccio analitico, il diversificarsi delle realtà alle quali essi si riferiscono ha imposto all’attenzione la riflessione sulla natura degli enti con cui essi hanno a che fare. A questo proposito, appare significativo il fatto che, fra gli sguardi d’insieme (in genere, opere collettive) sull’esercizio della filosofia analitica nei diversi campi del sapere sia spesso presente un capitolo dedicato all’ontologia, oppure al rapporto fra «ontologia» e «metafisica». Intendiamo, qui, esaminare alcune caratteristiche dell’approccio filosofico-analitico alla questione dell’ontologia perché, nella discussione della questione ontologica, l’approccio analitico solleva problemi decisivi per tutta la riflessione che la cultura occidentale ha, nel suo complesso, definito come filosofica. Muoveremo, anzitutto, dall’individuazione di alcuni elementi rintracciabili nella concezione filosofico-analitica dell’ontologia, mostrando come essi rinviino a problemi presenti nella riflessione filosofica fin dai suoi esordi (§ 1). Ricondurremo in secondo luogo, anche attraverso l’esame di un caso empiico, questi elementi alla costellazione concettuale che li tiene assieme, che designiamo come «naturalismo metodologico» e che consiste nel considerare linguaggio e realtà come dati di fatto, mostrandone le conseguenze: a) ipostatizzazione del linguaggio e del concetto di realtà che definiscono una qualunque pratica teorica, b) impraticabilità, in essa, dell’autoriflessione, c) autoreferenzialità ontologica di questa stessa pratica e suo ritrarsi dell’analisi dal cosiddetto «mondo esterno» (§ 2). Proponendo, infine, l’abbandono del naturalismo metodologico (a favore dell’interpretazione di linguaggio e realtà come articolazioni delle prassi dell’uomo, le quali configurano, nel contempo, il «mondo esterno» e l’identità che si rivolge a esso), mostreremo come ciò da un lato permetta di ovviare alle conseguenze sopra menzionate, dall’altro imponga una ridefinizione del ruolo e della natura stessa dell’ontologia (§ 3).

Esistono le convergenze parallele? Ontologia e metafisica fra naturalismo metodologico e configurazione d’identità

CASSINARI, FLAVIO ELIGIO OTTAVIO
2007-01-01

Abstract

Non è un caso, riteniamo, che l’apertura della filosofia analitica ai più diversi campi d’indagine (epistemologico, etico, estetico, giuridico, politico) sia coincisa con il moltiplicarsi, nel suo ambito, di ricerche sull’ontologia: dal momento che linguaggio e concetti rappresentano il principale oggetto di studio per l’approccio analitico, il diversificarsi delle realtà alle quali essi si riferiscono ha imposto all’attenzione la riflessione sulla natura degli enti con cui essi hanno a che fare. A questo proposito, appare significativo il fatto che, fra gli sguardi d’insieme (in genere, opere collettive) sull’esercizio della filosofia analitica nei diversi campi del sapere sia spesso presente un capitolo dedicato all’ontologia, oppure al rapporto fra «ontologia» e «metafisica». Intendiamo, qui, esaminare alcune caratteristiche dell’approccio filosofico-analitico alla questione dell’ontologia perché, nella discussione della questione ontologica, l’approccio analitico solleva problemi decisivi per tutta la riflessione che la cultura occidentale ha, nel suo complesso, definito come filosofica. Muoveremo, anzitutto, dall’individuazione di alcuni elementi rintracciabili nella concezione filosofico-analitica dell’ontologia, mostrando come essi rinviino a problemi presenti nella riflessione filosofica fin dai suoi esordi (§ 1). Ricondurremo in secondo luogo, anche attraverso l’esame di un caso empiico, questi elementi alla costellazione concettuale che li tiene assieme, che designiamo come «naturalismo metodologico» e che consiste nel considerare linguaggio e realtà come dati di fatto, mostrandone le conseguenze: a) ipostatizzazione del linguaggio e del concetto di realtà che definiscono una qualunque pratica teorica, b) impraticabilità, in essa, dell’autoriflessione, c) autoreferenzialità ontologica di questa stessa pratica e suo ritrarsi dell’analisi dal cosiddetto «mondo esterno» (§ 2). Proponendo, infine, l’abbandono del naturalismo metodologico (a favore dell’interpretazione di linguaggio e realtà come articolazioni delle prassi dell’uomo, le quali configurano, nel contempo, il «mondo esterno» e l’identità che si rivolge a esso), mostreremo come ciò da un lato permetta di ovviare alle conseguenze sopra menzionate, dall’altro imponga una ridefinizione del ruolo e della natura stessa dell’ontologia (§ 3).
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