Il saggio si divide in quattro parti. Nella prima si richiama brevemente il tema dell’origine e della presenza degli zingari in Italia. Origine su cui storici e linguisti si dividono: per alcuni gli zingari appartengono ad un comune ceppo indoeuropeo, altri non condividono l’idea di un’origine geografico-linguistica comune. Per quanto riguarda l’Italia, la loro presenza ha origine e si è svolta in momenti diversi. Dai Sinti, che esercitavano il mestiere di giostrai, giunti intorno al 1400 e provenienti dal Centro Europa ai Rom Havati arrivati dopo la seconda guerra mondiale, scappando dall’Istria e acquisendo con il trattato di Osimo cittadinanza italiana. Nella seconda parte si ricostruisce il processo che, nel nostro paese, ha condotto alla situazione attuale. Processo accompagnato da una sostanziale assenza di politiche sociali e che può essere sintetizzato in quattro fasi. La prima che va dal dopoguerra fino agli anni del boom economico; una seconda che occupa i due decenni successivi:e che dà inizio al processo di sedentarizzazione che modifica in maniera irreversibile i tratti della cultura zingara. La terza fase, che arriva fino alle soglie del nuovo secolo, che vede l’”istituzionalizzazione”dei cosiddetti “ campi nomadi”: zone franche, nella maggior parte dei casi prive di servizi e abbandonate a se stesse accompagnate da interventi istituzionali che oscillano tra repressione e assistenzialismo. L’ultima fase, quella attuale, ci mostra i risultati di tali dinamiche . Nella terza parte si analizza la situazione attuale. Rispetto al passato si è allargato il numero di coloro che intraprendono un percorso di integrazione sociale e mediazione culturale; dilaga la subcultura deviante: coloro che vi aderiscono fanno parte di organizzazioni criminali, generalmente a carattere familiare, raramente a veri e propri racket, si contrappongono sia ai valori della cultura tradizionale, sia a quelli della cultura maggioritaria; rimangono coloro che vivono nei campi, in condizione di ghettizzazione, deprivazione culturale e povertà in una concatenazione tragica di esclusione, lavori marginali e piccola devianza e poi i disperati, quelli che non hanno nulla, proprio nulla, neanche un posto dove vivere. Nella quarta si dà ragione del perchè gli zingari non hanno saputo o potuto reagire efficacemente a tale destino, a partire dalla tesi che esista un elemento di fondo che spiega la diversità culturale degli zingari: una concezione del tempo e dello spazio diversa da quella conseguente il processo di modernizzazione che ha attraversato le nostre società e le ha trasformate con l’avvento del capitalismo. Ciò significa che questo carattere culturale se rimane tale costituisce un ostacolo a qualsiasi reale percorso di cittadinanza e, per tale ragione, finisce per rappresentare anche una minaccia alla stessa cultura tradizionale perché si traduce in un processo di marginalizzazione e deculturazione. IL saggio si conclude spiegando le ragioni che rendono improrogabile affrontare e risolvere, con strumenti adeguati, la “questione zingara” e le azioni positive che occorrerebbe intraprendere.

Segregazione urbana e debolezza delle politiche sociali

CALABRO', ANNA RITA
2011-01-01

Abstract

Il saggio si divide in quattro parti. Nella prima si richiama brevemente il tema dell’origine e della presenza degli zingari in Italia. Origine su cui storici e linguisti si dividono: per alcuni gli zingari appartengono ad un comune ceppo indoeuropeo, altri non condividono l’idea di un’origine geografico-linguistica comune. Per quanto riguarda l’Italia, la loro presenza ha origine e si è svolta in momenti diversi. Dai Sinti, che esercitavano il mestiere di giostrai, giunti intorno al 1400 e provenienti dal Centro Europa ai Rom Havati arrivati dopo la seconda guerra mondiale, scappando dall’Istria e acquisendo con il trattato di Osimo cittadinanza italiana. Nella seconda parte si ricostruisce il processo che, nel nostro paese, ha condotto alla situazione attuale. Processo accompagnato da una sostanziale assenza di politiche sociali e che può essere sintetizzato in quattro fasi. La prima che va dal dopoguerra fino agli anni del boom economico; una seconda che occupa i due decenni successivi:e che dà inizio al processo di sedentarizzazione che modifica in maniera irreversibile i tratti della cultura zingara. La terza fase, che arriva fino alle soglie del nuovo secolo, che vede l’”istituzionalizzazione”dei cosiddetti “ campi nomadi”: zone franche, nella maggior parte dei casi prive di servizi e abbandonate a se stesse accompagnate da interventi istituzionali che oscillano tra repressione e assistenzialismo. L’ultima fase, quella attuale, ci mostra i risultati di tali dinamiche . Nella terza parte si analizza la situazione attuale. Rispetto al passato si è allargato il numero di coloro che intraprendono un percorso di integrazione sociale e mediazione culturale; dilaga la subcultura deviante: coloro che vi aderiscono fanno parte di organizzazioni criminali, generalmente a carattere familiare, raramente a veri e propri racket, si contrappongono sia ai valori della cultura tradizionale, sia a quelli della cultura maggioritaria; rimangono coloro che vivono nei campi, in condizione di ghettizzazione, deprivazione culturale e povertà in una concatenazione tragica di esclusione, lavori marginali e piccola devianza e poi i disperati, quelli che non hanno nulla, proprio nulla, neanche un posto dove vivere. Nella quarta si dà ragione del perchè gli zingari non hanno saputo o potuto reagire efficacemente a tale destino, a partire dalla tesi che esista un elemento di fondo che spiega la diversità culturale degli zingari: una concezione del tempo e dello spazio diversa da quella conseguente il processo di modernizzazione che ha attraversato le nostre società e le ha trasformate con l’avvento del capitalismo. Ciò significa che questo carattere culturale se rimane tale costituisce un ostacolo a qualsiasi reale percorso di cittadinanza e, per tale ragione, finisce per rappresentare anche una minaccia alla stessa cultura tradizionale perché si traduce in un processo di marginalizzazione e deculturazione. IL saggio si conclude spiegando le ragioni che rendono improrogabile affrontare e risolvere, con strumenti adeguati, la “questione zingara” e le azioni positive che occorrerebbe intraprendere.
2011
881415676X
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11571/451018
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