Lo studio di una certa campionatura di ceramiche, scarti di lavorazione di fornace di Faenza e di Pesaro, ha permesso di stabilire, tramite la valutazione della distribuzione composizionale degli elementi in tracce, che la materia prima utilizzata per gli impasti aveva diversa provenienza e presumibilmente i siti di estrazione erano posti nei rispettivi dintorni delle due città. Uno dei siti faentini è stato individuato e studiato in un precedente lavoro (Tongiorgi). Tuttavia la composizione degli impasti, alla luce degli elementi maggiori e della composizione mineralogica dei cotti appare sostanzialmente uguale nei due insediamenti. Evidentemente la capacità di conoscenza pratica degli artigiani del tempo era cosi spiccata da riuscire a differenziare sistemi argillosi a buon comportamento in cottura, che oggi si constata corrispondere a similitudine quanto meno nella composizione chimica degli elementi maggiori. A parte una diversa possibile sedimentazione non sembra che venissero effettuate aggiunte correttive (o, se fossero state per caso attuate, esse dovevano coincidere per modalità e materiali usati nei due insediamenti). Le modalità di lavorazione dovevano probabilmente essere simili in linea di massima, ma differenziarsi per quanto concerneva alcuni dettagli. Il comportamento all’EPR del ferro contenuto nelle ceramiche faentine e pesaresi è diverso sia come rapporto Fe2VFe1+, sia come sistemazione nell’inserzione dello ione FeJ+ nei siti ottaedrici. Ciò può far pensare, ad esempio, ad una diversa granulometria iniziale come ad una diversa velocità di incremento termico in cottura e/o ad un diverso tempo di permanenza in cottura. Indagini ottiche*‘hanno mostrato, in media, che i campioni pesaresi erano caratterizzati da una maggiore frequenza di bollosità diffusa entro il cotto e da una pezzatura di minerali accessori più grossolana rispetto alla media delle campionature faentine. Tutto questo fa presumere una minore accuratezza nella lavorazione dell’impasto ed una maggiore velocità di cottura dei pezzi pesaresi. Si é notato, inoltre, che nelle ceramiche post-medievali faentine, esisteva una certa differenziazione nella qualità del materiale prodotto, mentre a Pesaro ciò non è stato riscontrato nella campionatura a disposizione. Questo fatto può essere fatto risalire o all’uso contemporaneo di un diverso sito di estrazione dell’argilla in Faenza (ciò probabilmente dovuto, ad esempio, all’aumentata produzione della città) o ad una differenziazione nella produzione in base a nuove esigenze. Questo fa pensare che mentre nella Faenza post-medievale l’artigianato ceramico si avviava verso una evoluzione tecnologica della produzione, con differenziazioni metodologiche e di qualità dei materiali prodotti in funzione anche della destinazione d’uso, nel corrispondente periodo l’artigianato pesarese era ancora ancorato ai canoni produttivi medioevali.

Some comparisons among majolica samples from Faenza and Pesaro

ODDONE, MASSIMO;
1984-01-01

Abstract

Lo studio di una certa campionatura di ceramiche, scarti di lavorazione di fornace di Faenza e di Pesaro, ha permesso di stabilire, tramite la valutazione della distribuzione composizionale degli elementi in tracce, che la materia prima utilizzata per gli impasti aveva diversa provenienza e presumibilmente i siti di estrazione erano posti nei rispettivi dintorni delle due città. Uno dei siti faentini è stato individuato e studiato in un precedente lavoro (Tongiorgi). Tuttavia la composizione degli impasti, alla luce degli elementi maggiori e della composizione mineralogica dei cotti appare sostanzialmente uguale nei due insediamenti. Evidentemente la capacità di conoscenza pratica degli artigiani del tempo era cosi spiccata da riuscire a differenziare sistemi argillosi a buon comportamento in cottura, che oggi si constata corrispondere a similitudine quanto meno nella composizione chimica degli elementi maggiori. A parte una diversa possibile sedimentazione non sembra che venissero effettuate aggiunte correttive (o, se fossero state per caso attuate, esse dovevano coincidere per modalità e materiali usati nei due insediamenti). Le modalità di lavorazione dovevano probabilmente essere simili in linea di massima, ma differenziarsi per quanto concerneva alcuni dettagli. Il comportamento all’EPR del ferro contenuto nelle ceramiche faentine e pesaresi è diverso sia come rapporto Fe2VFe1+, sia come sistemazione nell’inserzione dello ione FeJ+ nei siti ottaedrici. Ciò può far pensare, ad esempio, ad una diversa granulometria iniziale come ad una diversa velocità di incremento termico in cottura e/o ad un diverso tempo di permanenza in cottura. Indagini ottiche*‘hanno mostrato, in media, che i campioni pesaresi erano caratterizzati da una maggiore frequenza di bollosità diffusa entro il cotto e da una pezzatura di minerali accessori più grossolana rispetto alla media delle campionature faentine. Tutto questo fa presumere una minore accuratezza nella lavorazione dell’impasto ed una maggiore velocità di cottura dei pezzi pesaresi. Si é notato, inoltre, che nelle ceramiche post-medievali faentine, esisteva una certa differenziazione nella qualità del materiale prodotto, mentre a Pesaro ciò non è stato riscontrato nella campionatura a disposizione. Questo fatto può essere fatto risalire o all’uso contemporaneo di un diverso sito di estrazione dell’argilla in Faenza (ciò probabilmente dovuto, ad esempio, all’aumentata produzione della città) o ad una differenziazione nella produzione in base a nuove esigenze. Questo fa pensare che mentre nella Faenza post-medievale l’artigianato ceramico si avviava verso una evoluzione tecnologica della produzione, con differenziazioni metodologiche e di qualità dei materiali prodotti in funzione anche della destinazione d’uso, nel corrispondente periodo l’artigianato pesarese era ancora ancorato ai canoni produttivi medioevali.
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